giovedì 23 luglio 2009

Il genocidio di Bagua. Le testimonianze e i desaparecidos.



.Bagua Grande.

Arriviamo a Bagua Grande (Distretto El Milagro-Utcubamba) il 21 Luglio.
Il pullman che ci porta fin qui da Pedro Ruiz giunge la sera al crepuscolo.
Il tasso d'umidità è altissimo e incolla i vestiti alla pelle, le strade sono trafficate dai soliti moto-taxi e la città è costruita intorno alla centrale Plaza de Armas.
La fantasia nel dare i nomi alle piazze non è eccelsa.
Ci mettiamo subito in cerca di un ostello economico e, dopo averne visitati una manciata, scegliamo il più conveniente oltre che uno dei più centrali che si trova accanto al commissariato di polizia.
Il giorno successivo, appena svegli, ci precipitiamo ad uno dei tanti posti dove fanno frullati freschi di frutta tropicale.
Ne beviamo uno a testa consistente in un litro di banana, papaya, ananas, carote e pomodori e facciamo due passi sotto il sole per il piccolo centro cercando di digerirli il più in fretta possibile.
Dopo poco ci dirigiamo verso la parrocchia in cerca del prete locale.
A mezzogiorno dà la sua disponibilità per accoglierci; ci presentiamo, ci fa sedere e ci racconta.
Siamo qui per il Baguazo gli diciamo; per raccogliere informazioni sul massacro degli Awajun, sui desaparecidos, per ascoltare le voci di chi quel fatidico 5 Giugno c'era.
Siamo a Bagua.
Questa città e i suoi dintorni il 5 Giugno sono stati teatro di una delle atrocità peggiori che siano avvenute negli ultimi anni in Perù e in Latino America.
A trenta minuti in auto da qui seguendo la strada per Jaen si trova la curva del diablo così chiamata per la sua pericolosità e per il fatto che decine di camionisti vi hanno perso la vita.
La strada è cruciale per il commercio e a vederne l'asfalto sembrerebbe piuttosto recente.
C'è una piccola curva a cui segue un rettilineo di circa 700 metri alla fine del quale segue una violenta svolta a sinistra.
Questa è la curva del diablo.
Il paesaggio sembra quello di un vecchio film western; piante grasse e cactus fanno da padroni tra le case costruite in terra che si incontrano lungo il percorso.
C'è un vento fortissimo che solleva la sabbia del terreno arido e quasi desertico, l'ossigeno al paesaggio è fornito dal rio Huallaga che accompagna la strada sulla destra distante a circa un chilometro.
Il prete, padre Castinaldo (peruviano di Bagua) racconta..
A quanto ne sa i poliziotti morti sono stati 24, 12 dei quali caduti a Bagua Grande negli scontri con i cittadini.
Parla di 8 nativi morti alla curva del diablo, di un numero imprecisato di desaparecidos e di oltre 100 feriti trasportati a Bagua e a Chiclayo.
In quest'ultima sulla costa hanno portato i più gravi.
Non era alla curva l'alba del 5 Giugno; era alla parrocchia ma presto a Bagua sono arrivate le notizie degli scontri.
La gente,non appena saputo ciò che stava accadendo si è radunata per le strade.
Anche qui in città sono arrivati i poliziotti che per disperdere la gente non hanno esitato a sparare; 6 cittadini tra cui due moto-taxisti e una giovane professoressa sono morti sul colpo.
In città e persino alla frapperia si possono vedere alcuni buchi che le pallottole hanno lasciato sui muri e sulle serrande che i negozianti hanno presto abbassato non appena sentiti gli spari.
Molte persone avevano reagito esprimendo la loro rabbia fuori dal commissariato adiacente all'Hotel Montecristo dove ora alloggiamo.
Padre Castinaldo racconta di quanti nativi nelle ore seguenti alla mattanza si siano rifugiati in città perseguitati dalla polizia.
La parrocchia cittadina per cinque giorni ha dato rifugio a 804 nativi Awahjùn, donne e uomini.
Dopo cinque giorni questi hanno fatto ritorno alle loro comunità distanti dalle 4 alle 8 ore in macchina da Bagua, direzione nord.
Hsnno fatto ritorno dopo che la diocesi è riuscita a garantire la loro sicurezza nel tragitto.
In 804 hanno fatto ritorno stipati su 13 camion.
Quel giorno alla curva del diablo gli Awahjùn erano in cinquemila.
In 5000 hanno occupato 700 metri di strada per 54 gioni; l'hanno occupata in maniera pacifica al grido di 'La Selva non se vende,la selva se defiende!' protestando contro i decreti legge di Garcìa e contro il Trattato di libero commercio siglato dal governo con gli Usa di Obama.
Tutto è proseguito pacificamente fino alle sei del mattino del 5 Giugno.
Allora le forze speciali della polizia senza alcun preavviso sono arrivate dalla collina che sovrasta a Sud la curva del diablo.
Sono arrivati armati come in guerra con la copertura di un elicottero dell'esercito e di un altro bianco della polizia.
La Fiscalia ha appena dichiarato che gli Awahjùn non avevano con sè armi da fuoco ma solo le lance che li rappresentano come popolo dalle radici ancestrali.
Gli Awahjun si dividono in 113 comunità, ciascuna rappresentata da un Apu, dislocate a nord di Bagua nella selva quasi fino al confine con l'Equador.
Gli Awahjùn sono stati tra i pochi a non essere stati conquistati dal popolo Inca.
La loro storia è millenaria come le loro tradizioni, la loro terra e la loro conoscenza di essa.
Molti di loro hanno servito l'esercito peruviano; molti di loro sono professori, ingenieri o avvocati.
Ma a Lima e nel mondo c'è chi ancora li dipinge come cannibali, selvaggi ed ignoranti solo per il fatto di vivere in armonia con la natura e di non essere globalizzati.
Parliamo con Castinaldo circa un'ora e, saliti su un piccolo furgone che va verso Jaen, ci siamo fatti lasciare alla Curva del Diablo.
Prima della curva ci sono un cumulo di case costruie in terra e lamiere ; queste case compongono il piccolo (eufemismo) villaggio di Primavera.
Al di là della curva altre case formano invece il vilaggio di Siempre Viva.
Le case di Primavera saranno in totale poco più di una decina; molte di queste sono abitate solo occasionalmente perchè fanno parte di terreni (chakra) che la gente viene a coltivare dalla città solo alcuni giorni della settimana.
Il paesaggio è affascinante e spettrale; il caldo spacca le pietre ed il vento solleva cumuli giganti di sabbia che quasi rendono invisibile il rio Huallaga sulla nostra destra.
L'atmosfera è viva di morte e noi cerchiamo contatti con i locali e ci indirizziamo verso le casette seminate ai lati della strada.
Prima saliamo il cerro,il colle, che sormonta sul lato sinisro la strada e che si distende per centinaia di metri.
Incontriamo cumuli di una specie di segatura; la terra è per molti tratti bruciata e incenerita; c'è una grossa buca con alcuni rifiuti e a tratti ci sono come bruciature con colate di, non capiamo, se plastica nera bruciata o cemento.
Proseguiamo per un altro centinaio di metri; la vista è maestosa, mulinelli di sabbia trasportata dal fortissimo vento rendono l'orizzonte quasi invisibile; il rio si sdraia al di là delle palme. Il rumore circostante è quello dei fischi dell'aria.
In cima al cerro che s'innalza sull'asfalto c'è una croce bianca postavi il 5 Luglio durante una cerimonia a cui hanno partecipato anche alcuni Awahjùn, una cerimonia in memoria dei caduti.
A lato della croce una bandiera bianca è quasi strappata dal palo a cui è issata a causa del vento.
Viene da mettersi in preghiera se si fosse religiosi; ci immaginiamo lì il 5 Giugno ma l'immaginazione non può nemmeno avvicinarsi a comprendere ciò che è stato.
Camminando tra la sabbia e schivando piccoli cactus riscendiamo lungo la strada e ci avviciniamo ad un'abitazione; ci facciamo sentire per avvisare del nostro arrivo.
I cani ci vengono incontro abbaiando e un ragazzino ci guarda curioso aspettandoci al valico di una piccola casa.
Siamo qui per 'investigare' sui desaparecidos, sul Baguazo come lo chiamano qui.
Una signora con un bambino in braccio vorrebbe parlare ma arriva un anziano mulatto dai capelli bianchi cotonati che ci si para innanzi e ci accoglie.
Il fisico nerboluto da contadino lo fa sembrare uno zio Tom di inizio secolo.
Gli facciamo qualche domanda; gli chiediamo se ha visto ammazzare qualcuno, se ha incontrato qualche cadavere, per quanto la polizia dopo il 5 Giugno ha isolato la zona..ma tutto ciò che riusciamo a farci dire è che lui al momento dell' enfrentamiento s'è chiuso in casa con la famiglia: Non ha visto niente.
Ci rivela però che la polizia ha reso inacessibile il passaggio sulla collina ,alla sinistra della strada dove c'è sta la mattanza, per due settimane.
Ce ne andiamo ringraziando la famiglia e indirizzandoci verso le case dislocate a cento metri.
Attraversiamo la strada e, appena ci avviciniamo alla baracca, veniamo accolti dai soliti cani con fare minaccioso.
Procediamo lentamente chiedendo permesso e solo dopo alcuni minuti una signora esce dalla porta e ci accoglie un po' titubante accompagnata dalla piccola figlia.
Ha le mani infarinate ma nonostante stesse cucinando ci ospita.
Le ripetiamo la solita solfa raccontandole del perchè siamo qui.
Non esita a parlare ma ci prega di non riprenderla con la piccola video camera.
All'alba del 5 Giugno era in casa con sua figlia; poco prima delle 6 sente i primi boati..inizialmente pensava fosse una sorta di festa patronale ma parlando con la sorella capisce subito dell'impossibilità della cosa visto che la strada è bloccata da 54 giorni.
In pochi istanti nel cielo vede due elicotteri che sorvolano l'area a bassa altitudine; un elicottero è militare, l'altro è bianco.
Da quello militare parte una bomba lacrimogena che colpisce il terreno al lato dei muri in terra dell'abitazione.
A questo lacrimogeno ne seguono molti altri lungo la strada e per tutto il monte.
L'aria si fa irrespirabile e lei afferra la figlia di otto anni e si rifugia alla casa della sorella distante una ventina di metri lungo il cerro.
La figlia sta male e per proteggersi si barricano in casa; intorno l'aria si fa acre e coltri di fumo rendono opaca la visibilità.
Gli spari degli Ak47 in dotazione alla polizia seguono a raffica; intorno regna il caos.
I nativi dalla strada occupata salgono verso i poliziotti; molti altri fanno il tragitto inverso e qualcuno di loro cade colpito dai francotiratori appostati sugli elicotteri dai quali sono lanciati i lacrimogeni in direzione delle case circostanti.
Scopriamo che sua sorella è la signora col bebè in braccio che abbiamo incontrato pochi minuti prima nella casa a valle; quella nella quale abbiamo parlato con lo zio Tom.
Ci dice che quest'ultimo non vuole parlare e che nutre simpatie per Garcìa e antipatie per i nativi.
Ci dice anche che la sorella ha visto un ragazzino Awahjùn di 16 anni essere ammazzato a sangue freddo mentre dormiva a lato della casa.
Ci racconta che molta gente ha paura a parlare.
Narra che per un mese i poliziotti hanno occupato il monte, il cerro, non facendo entrare nessun civile.
Racconta di come le forze dell'ordine (che per motto hanno Dio, Patria e Ordine) abbiano rastrellato casa per casa dopo le due ore di scontri cercando i nativi fuggitivi.
Racconta di quanto il tutto sia stato atroce e di come lei abbia raccontato ciò che ha vissuto testimoniandolo ad una radio locale.
Ci indica una casa più a valle un po' più distante dalla curva del diablo.
Ci consiglia di andare là per parlare con gli abitanti che hanno a disposizione un'arco di visibilità maggiore del cerro.
La ringraziamo, salutiamo la figlia e andiamo dove ci ha indicato.
Qui troviamo due case adiacenti, anch'esse in terra; fuori un cortile con un mototaxi parcheggiato e dei bambini che giocano aprofittando delle vacanze estive prolungate a causa della febbre suina.
Ci attende una signora che afferma di non essere stata presente il 5 Giugno; era a Jaen a lavorare.
Ci dice però di avere pazienza e di aspettare un po' che entro breve dovrebbe tornare dai campi suo cognato che sarebbe ben disposto a parlare.
Nel frattempo ci parla quasi commossa del popolo Awahjun non capacitandosi della brutalità della polizia e del governo.
Ci racconta che per un mese il colle è stato inacessibile e che il 5 Luglio, giorno nel quale c'è stata la cerimonia per i caduti durante la quale è stata issata la croce, alcuni presenti si sono inoltrati per i terreni trovando ossa grandi circa come una tibia umana.
Sono stati consegnati alla medicina fiscale di Bagua della quale non si fida molto data la vicinanza di questa al governo.
Aspettiamo un po' finchè non arriva il signor Reyes, uomo che ha superato i settantanni e che lavora come contadino per poter vivere.
Accompagnato dalla moglie che ci segue appoggiata al muro parla a ruota libera:
Ha servito l'esercito durante la guerra con l'Equador e vive qui a Primavera da più di ventanni.
Durante il blocco durato 54 giorni lui e sua moglie hanno dato a disposizione metà della loro casa a trenta donne Awahjùn perchè avessero un tetto sotto il quale dormire.
Dice di aver visto l'elicottero bianco abbassarsi sul luogo degli scontri per due volte per circa mezzora pe poi ripartire in direzione orientale.
Secondo lui stavano raccogliendo i cadaveri dei nativi per gettarli non si sa dove.
Ha visto la terra bruciare su quel colle per settimane con la polizia che vietava l'ingresso ai civili e che minacciava di ammazzare chi entrasse.
Lui stesso racconta di essere stato minacciato quando il 6 Giugno ha cercato di ispezionare il colle.
Questo è stato controllato per trenta giorni filati;la polizia ha rastrellato ogni metro quadrato di terra facendo sparire ogni traccia del massacro.
Dice che per ciò che è accaduto i morti potrebbero essere centinaia e non venti come dicono le fonti ufficiali.
Dice che la gente del posto non parla ma che tra loro compaesani parlano eccome; c'è chi racconta di aver visto sparare in bocca a ragazzi di ventanni tra le sterpaglie.
Ê un anziano magro e scolpito dal lavoro della terra, sembra quasi una tartaruga e ciò che che più lo scuote è il fatto che abbiano bruciato i corpi non degnandoli nemmeno di una sepoltura.
E lui il fuoco sul colle dice di averlo visto per giorni dopo quel 5 Giugno del 2009.
Dice che i 5000 nativi accampatisi lungo la strada per quasi due mesi hanno sofferto con una dignità e una forza d'animo indescrivibile il caldo e il vento dormendo per terra e sull'asfalto.
Dice che hanno tutte le ragioni del mondo; il governo non può derubarli, non può sfrattarli, non può ucciderli.
I poliziotti caduti sono morti colpiti dalle loro stesse armi sottratte loro dai nativi.
Mentre lavorava al campo qualche ora prima si è imbattuto in cinque guardie che cercavano il maggiore desaparecido da quel 5 Giugno.
Lui ha detto loro di non cercarlo nei suoi campi ma di chiedere al pilota di quell'elicottero bianco dove sia perchè solo lui può saperlo. Ha detto così persino al padre del maggiore che s'è recato a Primavera per cercare il figlio disperso, padre a sua volta di due figli.

Voci qui a Bagua raccontano che i nativi abbiano ammazzato il maggiore negli scontri per poi denudarlo dell'uniforme e dipingerlo in viso come un Awahjun.
La polizia scambiandolo per un nemico selvaggio l'avrebbe messo insieme agli altri cadaveri e l'avrebbe fatto scomparire.
Solo i piloti possono sapere dov'è.
Viene buio, salutiamo il signor Reyes e famiglia e scendiamo alla curva del diablo.
Chiediamo un passaggio; un pulmino ci carica e ci riporta a Bagua.
Oggi 23 Luglio siamo andati a Bagua Chica o meglio a Bagua capital.
Qui mentre mangiamo ad un ristorante conosciamo una ragazza che lavora commerciando una pianta medicinale curatrice del cancro chiamata unghia di gatto.
Ci dice che il 5/6 sono morti cinque cittadini negli scontri avvenuti con la polizia (stessa dinamica deli scontri di Bagua grande); uno di questi è un alunno minorenne.
Le parliamo del perchè siamo qui a Bagua e ci consiglia di attraversare la strada per recarci all'Hostal Katty solitamente frequentato da gente Awahjun.
Ci andiamo, saliamo al secondo piano.
In televisione c'è la partita di pallavolo femminile Perù-Venezuela e il Perù sta dominando il terzo set.
Conosciamo un signore Awahjun che il 5 Giugno (e pure i 54 giorni precedenti) era alla Curva del Diablo; gli chiediamo se possiamo filmarlo per raccogliere una testimonianza ma risponde di aspettare..
Deve chiamare l'Apu della sua comunità per avere il permesso.
Torna dopo un quarto d'ora invitandoci per domani (24 Luglio) a Yamayakat-Imacita, comunità Awahjun dove si incontreranno gli Apu di tutte 113 le comunità native.
Decideranno come continuare la lotta di fronte all'intransigenza assolutista del governo Garcìa che sta cercando di costruire un Aidisep parallela, comprata, con cui negoziare (tipo gli ebrei che nella seconda guerra mondiale trattavano coi nazisti i loro commerci, vedi Rotschild tuttora a capo della finanza mondiale).
Ma soprattutto cercheranno di fare un censimento generale dei desaparecidos.
C'è chi parla di 120, chi di 200 e chi di un numero maggiore ancora.
Il 5 Giugno 5000 nativi erano in quella curva; molti non hanno mai fatto ritorno a casa e sembrano volatilizzati.
Noi questa notte alle tre andremo a Yamayakat-Imacita in cerca di Verità,
aspettando Giustizia, non miracoli!

.Giovedì 23 Luglio 2009.

martedì 21 luglio 2009

Por la carretera.






.Chachapoyas.

Le giornate a Iquitos si fanno monotone.
In un mese abbiamo seguito lo sviluppo della lotta popolare e indigena, il caso Andoas e il processo che si svolge tuttora nella sala penale del tribunale di piazza 28 de Julio.
Abbiamo appoggiato e documentato le marce, i blocchi, le assemblee popolari e le riunioni cittadine.
Abbiamo parlato con gli avvocati di José Fachìn, Marco Polo Ramires e John Vega Flores.
Nelle nostre potenzialità abbiamo cercato di far da megafono alle loro grida di sdegno e di rabbia.
Dopo un mese però a causa del tavolo di dialogo di Lima (instaurato solo per prendere tempo e per far buon viso a cattivo gioco di fronte all'opinione pubblica e a quella internazionale) la situazione sembra assopita, la lotta addormentata, anestetizzata. In stand-by.
Il malcontento è sempre forte e con esso la delusione nel vedere alcuni rappresentanti prestarsi ai negoziati del governo che cerca di comprare i leader delle varie comunità senza di fatto far marcia indietro in quello che è il Trattato di libero commercio e la privatizzazione dell'Amazzonia e anche delle Ande.
E' una fase di stallo, di immobilismo.
Il clima è umido e a tratti asfissiante e la città ormai la conosciamo molto bene tanto da non saper più dove sbattere la testa. Inoltre il caos tremendo del capoluogo di Loreto è un trapano nel cervello.
Decidiamo quindi di abbandonare la città, approfittando della pausa del processo sul caso Andoas, per fare qualche giro fuori Iquitos e chiudere con qualche giorno nella selva per purificare mente e corpo.
Affittiamo una Honda rossa scarlatto vecchia ma con una ripresa molto prestante; facciamo il pieno e zaino in spalla andiamo ad esplorare i dintorni iquiteñi.
Prendiamo la strada per Nauta e ci inoltriamo lungo il serpente d'asfalto facendo zig zag tra gli innumerevoli moto-taxi e svoltando ad ogni strada sterrata che incontriamo lungo il cammino.
Una di queste è una strada piena di buche che si infila tra palme e fitta vegetazione.
Ai nostri lati capanne e baracche fanno da sfondo.
Ci inoltriamo per qualche chilometro col fondoschiena che risente del terreno incidentato fino a arrivare in qualche piccolo paese dove la vita sembra scorrere fuori dal tempo.
In mezzo alla strada ragazze e bambini fissano reti occasionali per giocare a pallavolo (sport praticatissimo nel paese) e noi ad ogni campo improvvisato rallentiamo e abbassando la testa passiamo sotto le reti per continuare lungo il percorso.
Ai lati campi da calcio in terra con porte costruite con piccoli tronchi si susseguono tra file di case e piccoli negozi di paese che vendono giusto l'indispensabile.
La gente ci osserva incuriosita inoltrarci verso la periferia selvatica.
Arriviamo nei pressi dell'aeroporto dopo aver superato il paese di San Juan, patrono della foresta amazzonica.
Accostiamo l'aeroporto proseguendo verso non sappiamo dove.
La strada incidentata ci conduce ad un piccolo paese che al suo ingresso presenta un cartello con scritto Laguna Azul. Paese di 150 anime sprigionante energia naturale e senso assoluto di quiete ed equilibrio.
Un piccolo fiume fiancheggia il villaggio e uomini e donne qui si lavano, fanno il bucato, pescano e nuotano per avere una tregua dal caldo umido a tratti insopportabile.
All'orizzonte vediamo un ponte alto circa tre metri che svolta a destra per ricollegarsi ad una stradina anch'essa sterrata.
Alcuni signori costruiscono delle canoe tagliando dei tronchi e scavandoli con degli scalpelli.
Il ponte è costruito con assi di legno di circa 20 centimetri le une in successione alle altre; il problema è che ogni tot alcune scompaiono lasciando piccoli vuoti che rendono visibile la laguna sotto i piedi..
Divertiti accendiamo la moto e percorriamo il ponte provando qualche brivido quando le ruote superano i vuoti lasciati dalle assi marce.
Alcuni dei presenti e tra questi i falegnami ci osservano divertiti.
Continuiamo fino ad arrivare dopo un paio di centinaia di metri al paese di Santa Clara che si stende sul fiume Nanay.

Questo paese di pescatori di circa 4000 persone si localizza intorno alla piccola piazza centrale e finisce sul fiume, in questa stagione ancora alto, dove baracche fluttuanti in armonia col rio servono birra fresca, pesce e succhi di frutta.
Qui c'è la famosa spiaggia di Santa Clara dove la gente del posto si riversa nel fine settimana quando il fiume è basso e dà alla luce innumerevoli spiaggette.
Ci fermiamo per goderci il tramonto sorseggiando una Pilsen ( cerveza locale) ma non facciamo in tempo a scendere dalla Honda che due uomini si sbracciano invitandoci al loro tavolo su una delle piccole baracche-bar-ristoranti-discoteche fluttuanti.
Accettiamo l'invito e ci sediamo; sul tavolo rotondo di plastica le bottiglie di birra da 66 cl vuote sono una dozzina.
L'atmosfera è divertente e piacevole ed uno dei ragazzi è visibilmente allegro per via del luppolo, l'altro è più silenzioso.
Nel fiume qualcuno nuota e qualcuno mette a mollo i vestiti.
I colori si fanno pastello e la luce tramontina del sole splende sulle acque scure del Nanay.
Hanno 24 e 28 anni; entrambi sono fidanzati, convivono ed hanno figli.
L'allegro ventottenne dice di avere due donne che ama in ugual maniera.
La madre di suo figlio vive la situazione senza problemi e lui racconta quanto lei sia comprensibile e amabile.
Sono entrambi pescatori e sono amici sin da piccoli; lavorano insieme lungo il fiume da quando avevano dieci anni.
Sono come fratelli.
Il più giovane lentamente si lascia andare e si chiacchiera piacevolmente.
Eric, il ventottenne, ci parla della sua famiglia; ha due fratelli che hanno studiato a Lima, uno avvocato e l'altro ingegnere.
Racconta di quanto sia diverso dai suoi fratelli, di quanto lui preferisca la pratica all'accademia, parla della sua conoscenza dell'Amazzonia.
Ha lasciato la scuola per la pesca.
Gli piace vivere così, in maniera naturale e in armonia col polmone della terra nel quale vive.
A otto anni già pescava ed era di casa lungo il fiume.
Ci parla di curanderismo, di medicina tradizionale e di piante.
E' felice e lo si vede da come ci guarda.
Si stanno riposando al tavolo e stanno bevendo per festeggiare il ritorno a Santa Clara dopo quattro giorni di pesca e di accampamento lungo il rio Nanay nell' Amazzonia.
Hanno catturato una piccola manta che venderanno ai giapponesi.
Si fa quasi buio e delle nuvole minacciose e piene di pioggia si avvicinano; ci salutiamo, ci abbracciamo e torniamo ad Iquitos.
Nei momenti morti di piccole escursioni come questa ne abbiamo fatte molte:
A Quistococha e alla laguna ricca di leggende secolari dove abbiamo abbracciato l'anaconda e dove per ricevere il resto dell'acquisto di due acque e di due tortillas abbiamo dovuto aspettare due ore..
A Belèm, la Venezia dell'Amazzonia, periferia di Iquitos..
Qui il paese è costruito dentro il rio delle Amazzoni; baracche e palafitte si susseguono galleggianti sull'acqua, la scuola,le chiese e parte del grande mercato emergono dal fiume.
Si può visitare in canoa o in piccole barche a motore.
Si passa tra le strade inondate; i pali della luce sono quasi totalmente sommersi, dei campi da calcio si intravede solo la traversa delle porte che emerge.
I cani delle famiglie prendono il sole sdraiati nel cortile galleggiante di casa.
Le barche portano i ragazzi a scuola.
La gente va da una casa all'altra o in barca o nuotando.
E' qualcosa di magico e d'armonioso.
Anche perché Belèm non è piccola.
Il suo mercato è grande come un quartiere.
Parte di esso è costruito sulla strada, parte sul fiume.
Vicoli stretti e caotici colmi di baracche e di merce si incrociano e scendono dalla strada asfaltata al fiume.
Verdura, carne, tabacco, vestiti, scimmiette e galline, pesce, giochi, attrezzi..si vende di tutto al mercato di Belèm.
Il vicolo più caratteristico e affascinante è quello delle erbe e piante medicinali;
infusi per curare il diabete, altri per problemi di circolazione, altri ancora per dolori mestruali o intestinali.
Piante che curano il mal di stomaco, radici per la pelle, cortecce per dolori dovuti all'artrite.
Erbe che curano lo spirito e il corpo, piante secolari usate da sciamani e curandeiros.
Tutto questo in un piccolo vicolo lungo una cinquantina di metri; ai lati le tende sono dislocate una in successione all'altra.
Le signore vengono da San Juan e dalla selva per vendere le loro medicine.
A fine giornata tutti i rifiuti vengono assiepati in una piccola stradina dove prima del tramonto alcune donne e bambini vengono a trafugare in cerca di resti commestibili.
Corvi giganti stanno sopra le loro teste e tra di loro, a trafugare anch'essi.
Il tutto sembra di una normalità incredibile.
Abbiamo scritto con un indelebile nero su un paio di magliette bianche ¡Yo no soy gringo! stufi di essere chiamati gringo dalla gente.
I primi risultati in senso positivo li abbiamo riscontrati allo stadio di Iquitos dove gioca la squadra del CNI ( Collegio Nazionale di Iquitos) che lotta per la salvezza.
E' l'unica squadra loretana presente nel campionato peruviano.
E' un'istituzione per i loretani dato che Loreto è una regione enorme, la più grande del Perù.
Ci mettiamo in coda alla biglietteria in un corridoio limitato dalla presenza dei poliziotti e ci apprestiamo a comprare due biglietti per la Sur, la curva dove stanno gli 'hinchas' del Cni.
Paghiamo otto soles (circa due euro) ed entriamo incuriositi; nel nostro immaginario le curve latino-americane sono tutte come quelle dell'Estudiantes di La Plata di Veron (fresco vincitore della coppa Libertadores), del Boca, del San Paolo, dell'Allianza Lima e così via.
Una volta saliti sugli spalti vediamo che nello zoccolo duro della curva i bambini sono i protagonisti.Siamo sorpresi.
Lo stadio è nuovo, ha circa due anni; contiene fino a 25.000 persone sedute ai quattro lati del campo in sintetico.
Il Cni naviga nelle zone basse della classifica ,viene da dieci sconfitte consecutive e deve assolutamente vincere.
Il suo faro è Carlos Barrena meglio conosciuto come El Chato; 24 anni,trequartista poco più alto di un metro e sessanta.
La partita è tesa e ne risente lo spettacolo ma il Cni si porta in vantaggio e chiude i conti nel secondo tempo concludendo sul 2 a 0.
Sugli spalti nasce una Ola alla quale tutti partecipano facendole fare almeno cinque giri dello stadio.
Gli spettatori applaudono e nell'uscire dagli spalti i bambini e alcuni adulti ci danno pacche sulle spalle e ci rivolgono sorrisi soddisfatti per la vittoria..e per la nostra maglietta.
Lungo il ritorno verso casa ci imbattiamo in due anziani che ci fermano incuriositi dalla presenza di due stranieri.
Ci chiedono da dove veniamo, cosa facciamo e, stupiti dal nostro interesse per la lotta popolare indigena e pensandoci due giornalisti di chissà che calibro, ci abbracciano chiedendoci di denunciare al mondo ciò che sta succedendo nel paese; il genocidio dei nativi che quando non è dovuto ai proiettili dei cecchini come a Bagua deriva dalla politica ultraliberista del Governo; dalla contaminazione e dello sfruttamento dell'Amazzonia da parte di imprese petrolifere e minerarie.
Sanno anche loro che le guerre di domani saranno per l'acqua.
Si sentono in pericolo come popolo e ci chiedono appoggio.
Diciamo loro che faremo tutto il possibile ma che l'apatia e l'ignoranza sono un cancro in Italia, nazione che loro, come molti altri immaginano sviluppata e moderna.
Affamati li salutiamo e andiamo verso casa dopo aver scambiato i numeri di telefono.
Torniamo allo stadio altre due volte lungo la nostra permanenza ad Iquitos e ci scopriamo porta fortuna dato che la squadra vince entrambe le partite grazie alle ottime serpentine del 'Chato'.
Lasciamo il CNI quartultimo( retrocedono le ultime tre) con quattro punti di vantaggio sulla squadra che la segue.
Ce ne andiamo da Iquitos per fare qualche giorno avvolti dal silenzio della Selva.
Quando torneremo dalla foresta lasceremo definitivamente Iquitos per continuare il nostro viaggio verso Tarapoto, Chachapoyas e Bagua grande.
Prima di andarcene salutiamo John Vega Flores, amico nativo Kichwa vittima come tanti del sistema peruviano e mondiale.
Ci informa che a Teddy Guerra Indama (Apu della comunità nativa di Andoas durante i fatti del Marzo del 2008 e incarcerato da oltre un anno senza essere stato ancora giudicato) all'ennesima richiesta degli avvocati è stata concessa la libertà vigilata.
Può rincontrare finalmente la moglie e i figli, uno dei quali nato durante la prigionia.
Resta in carcere Saulo Sanchez Rodrigues.
Intanto il Governo cambia pelle col nuovo Premier della Repubblica; Javier Velàsquez Quesquén ma non nella sostanza.
Non è stato fatto nessun passo indietro; dieci dei dodici decreti legge che saccheggiano il Perù, l'Amazzonia e con essa il mondo continuano a esistere; la radio La Voz di Bagua continua ad essere costretta a a tenere chiusi i battenti a causa del Governo che la vuole imbavagliare ( è in atto una grande campagna di solidarietà portata avanti dall'Associazione nazionale dei giornalisti del Perù-ANP-, dal popolo e da giornalisti provenienti da tutto il Sud America); gli accordi di sfruttamento petrolifero con le compagnie petrolifere straniere continuano imperterrite e peggio di prima (Alan Garcìa ha venduto centinaia di ettari per l'estrazione del greggio alla Perenco); a Bagua continuano a piangere i desaparecidos; il paese è sempre militarizzato e Alberto Pizango, presidente dell'Aidesep continua ad essere in esilio in Nicaragua insieme agli altri rappresentanti.
Il Governo sta cercando di delegittimare i rappresentanti indigeni dando parola e intavolando accordi con pseudo rappresentazioni native ( rappresentative di nessuno e condannate dalle loro stesse comunità che dicono di rappresentare) di fatto comprate.
E anche i contadini sono in lotta in tutto il paese, specie nella regione di Cusco.
Il 5 Luglio manifestazioni popolari a Bagua e a Lima sono state represse nel sangue con centinaia di arresti.
Ma l'informazione internazionale tace e fa il gioco del Governo negando il problema e affermando che la situazione di fatto si è risolta con l'abrogazione del decreto 1020 e il 1064. Vittoria dei popoli della selva e passo indietro del Governo..
Perchè non cita il trattato di libero commercio o gli altri dieci decreti ancora in vigore come il decreto 1081 che crea il sistema nazionale di risorse idriche e apre ad una possibilità rispetto alla gestione privata dell'acqua contro il diritto delle comunità di gestirle autonomamente?
Andiamo nella selva per staccare la spina e ritrovare un po' noi stessi.

. Martedì 21 Luglio 2009 .

venerdì 3 luglio 2009

Prima di Bagua fu Andoas

.Iquitos.


Intervista a John Vega Flores, nativo Quichwa, abitante della comunità di Andoas.
Attualmente sotto processo per i fatti accaduti il 20, 21 e 22 Marzo 2008 a Nueva Andoas.

Video parte 1 Video parte 2 Video parte 3


(Da sinistra verso destra John Vega Flores, Marco Polo Ramires, Josè Fachin)



.Venerdì 3 Luglio 2009.