mercoledì 29 dicembre 2010

La lotta silenziosa dei Mapuche.


Vaccamagra torna a parlare del popolo Mapuche, pubblicando l'appello rivolto da Jorge Huenchullan (portavoce dei prigionieri politici Mapuche) al blog di Beppe Grillo e a tutti gli Italiani.
Lo Stato cileno sta espropriando le terre dei Mapuche e applicando leggi contro il terrorismo a chiunque si opponga in maniera non violenta, anche agli adolescenti, con condanne fino a 50 anni. Chi difende la propria terra in questo mondo globalizzato, schiavo degli interessi economici e dominato dalle multinazionali è un TERRORISTA.
Guardate e riflettete.

giovedì 23 dicembre 2010

Ergastolo a Jorge Rafael Videla.


In data 22 dicembre 2010, con l'accusa di torture aggravate da persecuzione politica la Corte di Cordoba ha condannato Jorge Rafael Videla all'ergastolo (da scontare in un penitenziario civile) e all'interdizione perpetua dei pubblici uffici.
L'ottantacinquenne ex dittatore argentino nel 1976 fece sequestrare,torturare e fucilare 31 detenuti politici del carcere di Cordoba.
Già nel 1985 Videla fu condannato all'ergastolo insieme agli ex generali che si erano succeduti nelle Giunte militari che hanno governato l'Argentina fino al 1983, ma poi beneficiò dell'indulto e venne scarcierato dopo soli cinque anni.
Prima della lettura del verdetto l'imputato ha preso la parola dichiarando di aver agito nell'ambito di una guerra giusta in opposizione ai sovversivi marxisti che, per ordine dell'Unione Sovietica, e di Cuba, la sua succursale latinoamericana, volevano sottoporre il Paese al loro sistema ideologico.
Con Videla è stato condannato all'ergastolo anche l'ex generale Luciano Benjamin Menendez, sebbene per lui è stata chiesta una visita medica per sapere se può essere trasferito in un carcere civile.

La dittatura Videla fu responsabile della scomparsa di circa 30.000 persone, desaparecidos, 3.000 delle quali vennero fatte precipitare nell'oceano Atlantico o nel Río de la Plata utilizzando i famigerati vuelos de la muerte (voli della morte).

lunedì 1 novembre 2010

Dignità e resistenza su una gru a 25 metri d'altezza.


(foto di Nicola Zambelli)

Sabato 30 Ottobre a Brescia si è svolta una manifestazione alla quale hanno partecipato molti migranti e pochi italiani.
Motivo della protesta è stato ed è la mancata risposta/assegnazione dei permessi di soggiorno a tantissimi stranieri che hanno fatto domanda per la sanatoria Maroni del 2009 per colf e badanti.
Nella legge Bossi-Fini l'articolo 14 indica la mancata ottemperanza all'ordine di espulsione come reato del codice che prevede l'arresto obbligatorio.
L'obiettivo della sanatoria era la regolarizzazione dei migranti senza permesso che da anni lavorano in nero sottopagati nelle innumerevoli aziende e imprese di Brescia e provincia e nel resto del paese.
Molte organizzazioni l'anno passato chiesero se i condannati per mancata obbedienza al decreto di espulsione potessero fare domanda.
Tra queste la Confartigianato di Rimini il 23 Settembre del 2009 pose il quesito al Viminale che rispose positivamente.
Ecco quindi che moltissimi immigrati irregolari fecero così domanda per regolarizzare la loro posizione versando i contributi e pagando l'Inps.
Nell'ultimo anno hanno speso fino a più di 3000 euro.
Negli ultimi mesi molti migranti hanno visto respingere la loro domanda e ora vedono pendere su di loro un nuovo ordine di espulsione.
A quanto pare il Viminale ha cambiato idea dopo aver intascato centinaia di migliaia di euro; viene riferito ai migranti che essendo clandestini ed avendo un foglio di via non possono essere sanati.
Tutto questo viene detto loro dopo un anno di pagamenti e di speranze contraddicendo alcune direttive come quelle espresse dal Governo alla Confartigianato di Rimini il 23/09/2009.
Siamo di fronte ad una vera e propria truffa di Stato e ad una trappola preparata e servita con cinismo dal ministro Maroni.
Da fine Settembre a Brescia i migranti sono in lotta e non hanno intenzione di subire queste ingiustizie senza far niente. Anche perchè non hanno più nulla da perdere.
Viene quindi montato un presidio permanente davanti alla Prefettura di Brescia in via Lupi di Toscana con tende e sedie.
Il 29 Settembre alle sei del mattino poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa sgomberano il presidio portandosi via tutto, persino maglioni e coperte.
Successivamente migranti e solidali bresciani bloccano alcune vie della città e lanciano una manifestazione di risposta per Sabato 2 Ottobre in Piazza della Loggia.
Al corteo partecipano circa 5000 persone, alcune delle quali verso sera si insediano nuovamente davanti alla prefettura ri-montando il presidio permanente.
Dopo 28 giorni gli immigrati, l'associazione Diritti per tutti e collettivi di bresciani antirazzisti lanciano una nuova dimostrazione per avere delle risposte; l'appuntamento è per il 30 Ottobre in Piazza della Loggia.
La Giunta comunale (Paroli-Rolfi) nega l'autorizzazione e contatta addirittura i consoli intimidendo i migranti di possibili arresti ed espulsioni.
Gli organizzatori dopo un'assemblea al presidio valutano la situazione e rilanciano l'appuntamento per le 15 di Sabato 30 in Piazza Rovetta.
Sabato al Carmine (quartiere interculturale di Brescia) le persone presenti sono alcune centinaia.
La presenza di carabinieri e poliziotti in assetto antisommossa è massiccia tant'è che per arrivare in Piazza Rovetta i partecipanti sono costretti a passare alla spicciolata per i vicoli del quartiere a poche centinaia di metri dalle vie patinate dello shopping.
Alle 15.30 parte un piccolo corteo per le vie del Carmine che viene bloccato dalla celere di Padova (rinomata per la sua umanità e tolleranza) all'altezza della Chiesa di Via San Faustino.
Intanto arrivano notizie che raccontano dell'arrivo di una ruspa e di poliziotti anche in via Lupi di Toscana: Stanno sgomberando il presidio permanente e distruggendo tutto.
La tensione tra i dimostranti sale; sembra che la giunta stia facendo tutto il possibile per scaldare gli animi.
Alcuni migranti arrivano a manciate in Piazza Cesare Battisti e qui entrano nel cantiere della Metropolitana.
Salgono in nove persone sulla gru di 25 metri ed una volta in cima appendono un enorme striscione sul quale c’è scritto Sanatoria.
Il corteo, bloccato, vuole arrivare dalla chiesa di San Faustino al cantiere (distanza: 150 metri) per portare la propria solidarietà ai 9.
La polizia non lo permette e in pochi secondi volano manganellate e spintoni; vengono feriti due ragazzi egiziani, un sindacalista della Cgil e Sauro Digiovanbattista di Sinistra Critica. Quest'ultimo viene arrestato e successivamente rilasciato su pressione dei manifestanti.
Martedì 2 Novembre avrà un processo per direttissima al Palagiustizia di Brescia.
Molti partecipanti al corteo riescono, nonostante la violenza di Polizia e Carabinieri, a raggiungere il cantiere in Piazza Cesare Battisti passando dai vicoli.
Viene bloccato il traffico.
I migranti sulla gru dicono al megafono di non voler scendere finchè non verrà avviata una trattativa che preveda la concessione di uno spazio per il presidio permanente, la fine della repressione e soprattutto un incontro con il prefetto di Brescia e con il Viminale.
In serata arrivano i Vigili del Fuoco che portano ai resistenti sulla gru tele cerate, alimenti, acqua e vestiti.
Fuori dal cantiere rimangono molte persone a portare la loro solidarietà.
Il parroco della Chiesa di San Faustino, Don Nolli, concede una stanzona ai migranti rimasti così che possano darsi il cambio e riposare a turno restando vicini ai fratelli in cima alla gru.
Oggi, Lunedì 1 Novembre, dopo 48 ore di forte vento i migranti rimasti sulla gru sono cinque; affermano di essere motivati e disposti a lottare fino alla morte pur di rivendicare i loro diritti e la loro esistenza.
Quattro ragazzi sono scesi in questi giorni a causa delle intemperie; la cabina di guida è molto piccola e non permette a tutti i resistenti di starci.
Il vento gelido e l'acqua hanno stremato coloro che dormivano all'aperto in bilico e a strapiombo a 25 metri d'altezza.
Un giovane che soffre di narcolessia è dovuto scendere ed è stato ricoverato al Civile di Brescia assime a due compagni.
Sono ragazzi che vivono in Italia da molti anni, stufi di essere trattati come bestie.
Stanchi di essere invisibili agli occhi di una giunta e di un governo razzisti e beceri.
Stanchi di essere sfruttati e ignorati da quella massa di persone che lo scorso Sabato andava per negozi nelle centralissime vie della città, ignorando cosa accadesse a pochi metri da loro.
Dal Carmine continuano ad arrivare testimonianze di solidarietà; anche oggi, nonostante l'ostruzionismo della polizia, cibo,vestiti e coperte sono stati portati in cima alla gru dai pompieri.

La solidarietà attiva degli italiani mai quanto oggi è importante che arrivi ai migranti.
Far sentir loro che c'è un’altra Brescia e un'altra Italia oltre a quella del razzismo, dell'apatia, della mediocrità e dell'ignoranza, è fondamentale.
Passate da Piazza Cesare Battisti e date un’occhiata al cielo; siate umani.
Fatevi contagiare dalla loro dignità.
Per Sabato 6 Novembre è stata lanciata una nuova manifestazione; il concentramento è per le 15 in Piazza della Loggia.
Chi volesse portare la propria solidarietà è invitato a recarsi al Palagiustizia domattina alle 9.
In alternativa può offrire qualche minuto della sua giornata fermandosi in Piazza Cesare Battisti e parlando direttamente con i migranti in lotta o può rinunciare ad un Sabato pomeriggio di mondanità presentandosi in Piazza della Loggia Sabato 6 Novembre.


http://ctvmail.org/tubo/video/1HMKD81S22AH/30102010-manifestazione-migranti-a-brescia




Racconti di uno (brano) di Erri De Luca

Da giorni prima di vederlo il mare era un odore
Un sudore salato, ognuno immaginava di che forma .

Sarà una mezza luna coricata, sarà come il tappeto di preghiera,
sarà come i capelli di mia madre.

Beviamo sulla spiaggia il tè dei berberi,
cuciniamo le uova rubate a uccelli bianchi.

Pescatori ci offrono pesci luminosi,
succhiamo la polpa da scheletri di spine trasparenti.
L’anziano accanto al fuoco tratta con i mercanti
Il prezzo per salire sul mare di nessuno.
(…)

Notte di pazienza, il mare viaggia verso di noi,
all’alba l’orizzonte affonda nella tasca delle onde.

Nel mucchio nostro con le donne in mezzo
Un bambino muore in braccio alla madre.

Sia la migliore sorte, una fine da grembo,
lo calano alle onde, un canto a bassa voce.

Il mare avvolge in un rotolo di schiuma
La foglia caduta dall’albero degli uomini.

(…)

Vogliono rimandarci, chiedono dove stavo prima,
quale posto lasciato alle spalle.

Mi giro di schiena, questo è tutto l’indietro che mi resta,
si offendono, per loro non è la seconda faccia.

Noi onoriamo la nuca, da dove si precipita il futuro
che non sta davanti, ma arriva da dietro e scavalca.

Devi tornare a casa. Ne avessi una, restavo.
Nemmeno gli assassini ci rivogliono.

Rimetteteci sopra la barca, scacciateci da uomini,
non siamo bagagli da spedire e tu nord non sei degno di te stesso.

La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi,
nostra patria è una barca, un guscio aperto.

Potete respingere, non riportare indietro,
è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata.

(…)

Faremmo i servi, i figli che non fate,
nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.

Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino,
l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso.

martedì 26 ottobre 2010

Sakineh e Norma. Tra clamori e silenzi (assassini).

Di Koldo Campos Sagaseta Giornalista di Rebeliòn


(Fossa comune de La Macarena)

L’iraniana Sakineh Ashtiani la conosciamo tutti. Condannata per adulterio alla lapidazione dalla giustizia iraniana, speriamo che quella donna salvi la vita.
La colombiana Norma Irene Pèrez non la conosce nessuno.
Condannata a essere assassinata dallo Stato colombiano, quella donna che ha scoperto e denunciato una fossa comune nel suo paese, nella quale l'esercito aveva sotterrato i cadaveri di duemila contadini assassinati, nessuno ha potuto salvarla.
Qualche giorno fa, mentre rientrava a casa dopo aver preso parte a una assemblea, questa donna che difendeva i diritti umani è stata intercettata da individui armati.
E' riapparsa giorni dopo, uccisa dalle pallottole.
Per Sakineh Ashtiani è ovvio che la pressione di diverse istituzioni come le Nazioni Unite, svariati organismi e i grandi mezzi di comunicazionee hanno notevolmente contribuito a salvare la sua vita.
Anche per Norma Irene Pèrez è evidente che il silenzio complice di istituzioni come le Nazioni Unite, diversi organismi e i grandi mezzi di comunicazione ha contribuito a provocare la sua morte. Contributo che aumenta la sua colpa per il generoso aiuto che queste istituzioni danno a un narcostato terrorista che conta in centinaia di migliaia i desaparecidos, gli assasinati, i deportati.
Se si mette il nome della donna iraniana nel motore di ricerca di El Paìs appaiono 68 articoli, e centinaia d'altri che se ne riferiscono.
Anche nel motore di ricerca del quotidiano El Mundo i riferimenti a Ashtiani sono centinaia.
In nessuno di questi due giornali, i principali della Spagna, appare alcuna notizia, non una, che citi Norma Irene Pèrez, minacciata di morte da quando il suo coraggio e la sua iniziativa ha messo allo scoperto la più grande fossa comune del mondo postbellico, con duemila vittime dei cosiddetti 'falsi positivi'.
Di recente la rivista Time, sull'immagine di una donna afghana mutilata da un genitore, sentenziava in copertina: 'Ecco cosa succede se ci ritiriamo dall'Afghanistan'.
Avrà ora il coraggio, la rivista Time, sull'immagine di Norma assassinata, circondata dalle tre figlie di 14, 6 e 4 anni e dal figlio di 9 anni, a titolare: 'Ecco cosa continuerà a accadere se non invaderemo la Colombia'?
O forse è anni che la Colombia è stata invasa e occupata e non ce ne siamo accorti.

P.S: Mentre andiamo in stampa, apprendiamo che il Presidente dell’Iran Ahmadinejad ha dichiarato che la condanna di Sakineh non è mai stata pronunciata. Sarebbe un’invenzione dei media occidentali.
Se questa smentita corrisponde a verità, la riflessione che abbiamo appena proposto aumenta in modo inquietante il suo peso.


giovedì 14 ottobre 2010

At Tuwani (R)esiste.

Tra il Marzo e l'Aprile del 2010 ho avuto la possibilità di trascorrere del tempo al villaggio di At Tuwani, a pochi chilometri a sud di Hebron, in Cisgiordania.
Ho (con)vissuto in questo piccolo villaggio ai margini del deserto del Negev grazie alla disponibilità datami dall' organizzazione Operazione Colomba.
Ho avuto modo di vivere (seppur per troppo poco tempo)le ingiustizie e gli abusi che il popolo palestinese subisce da decenni.
Ho visto con i miei occhi i bambini del villaggio di Tuba essere attaccati da coloni ebrei, armati a cavallo, mentre si recavano alla scuola di Tuwani.
Ho visto gli ordini di demolizione dell'esercito israeliano pendenti dalle porte delle case palestinesi costruite sul loro territorio ancestrale. Ho visto anche i bulldozer.
Ho visto i campi di grano delle famiglie del villaggio bruciati dai settlers e il bestiame avvelenato dei contadini.
Ho visto il terrorismo quotidiano di cui sono vittime decine di famiglie di agricoltori colpevoli di non volersene andare dalla loro Terra.
Ho sentito i racconti degli anziani e visto le donne della comunità fare da scudo ai bambini di fronte ai militari israeliani che volevano arrestarli; erano colpevoli di avere rubato una manciata di ciliegie dai campi dei coloni.
Ho visto le colonie espendersi ad un ritmo vertiginoso.
E ho visto soprattutto la tenacia e l'orgoglio di un popolo, rappresentato da un piccolo villaggio sulle colline a sud di Hebron, resistere pacificamente alla violenza e ai soprusi dell'esercito israeliano e dei fondamentalisti ebrei.
Ho visto Davide fronteggiare Golia.

Il video qui di seguito è il trailer di un documentario girato a Tuwani e a Gerusalemme da tre ragazzi del collettivo Smk Videofactory (Nicola Zambelli, Andrea 'Paco' Mariani e Francesco Pistilli) accompagnati dai volontari di Operazione Colomba.

Il documentario uscirà nella Primavera del 2011.

venerdì 10 settembre 2010

L. SEPULVEDA: Quei mapuche così poco attuali



I meriti letterari di Isabel Allende sono fuori discussione, ma è necessario fare alcune considerazioni riguardo al premio nazionale di letteratura. In tutti i paesi che lo contemplano, questo genere di premio è conferito come riconoscimento di tutta una vita dedicata alla scrittura e in nessun caso l'eventuale successo di vendite di una scrittrice o di uno scrittore viene confuso con il suo potenziale mercato internazionale - sia esso d'oro o da due soldi, perché questo vuol dire confondere capre e cavoli.

Il premio poi non diventa l'argomento polemica dell'anno; in Cile invece, poiché il presente è - terremoto incluso - piuttosto sporco, viene allora rimpiazzato da un'attualità rozza e banale che riempie le televisioni e quasi tutti gli spazi consentiti. Agli occhi del mondo intero bisogna nascondere un fatto, occultarlo, negare la sua esistenza perché i 32 mapuche che stanno affrontando un lungo sciopero della fame, mettendo in pericolo le loro vite, è cosa che inquina l'attualità, in cui campeggia una sorta di dibattito intellettuale rozzo e banale.

Per la maggior parte dei cileni, siano essi scrittori, scrittrici o gente che si dedica allo sport della «cilenitudine», i mapuche non esistono, e se per caso qualcuno accetta il fatto che i mapuche esistono da prima dell'arrivo degli europei, li considera fastidiosi perché non accettano il loro ruolo di «suppellettili etniche» o perché sono contadini il cui unico destino non è altro che quello di fornire manodopera a basso prezzo.

Quei tappeti vanno bene per i lavori domestici, per quanto le peruviane sono più economiche; quei piccoli mapuche sono esperti di giardinaggio, di idraulica, sono quelli che castrano i gatti e che ne capiscono di piante selvatiche. Per duecento anni si è occultato, ignorato, negato uno dei fatti più sporchi della nostra storia: il saccheggio, il furto, l'usurpazione delle terre appartenenti a quella grande aggregazione umana chiamata il popolo dei mapuche.

Dalla dubbia dichiarazione d'indipendenza, manipolata dai primi figli e nipoti dei colonizzatori - può questo essere motivo di festeggiamenti? - fino al recupero di una democrazia concepita dalla cricca della dittatura di Pinochet, le proteste sacrosante dei mapuche sono state ignorate o relegate ai faldoni dei problemi che si risolvono con il tempo. Ovvero, quando i mapuche spariranno come popolo, come nazione, come etnia, come parte integrante della cultura americana. Persino durante i mille giorni di governo Allende si affrontò a malapena la questione, contando sui benefici di una riforma agraria che non tenne conto affatto del sentire culturale dei mapuche, e che ignorò il loro speciale rapporto con la terra e con l'habitat, imprescindibile per la Gente della Terra.

Sono disgustato quando, dopo un giro di acquavite peruviana, biondicce e biondicci di tutte le età e classi sociali, esprimono orgogliosi la gioia di avere qualche goccia di sangue mapuche nelle vene. Allora: «Dai bisogna portarci questo scrittore», e mi invitano ad andare a visitare i loro terreni o i loro poderi nella regione di Araucania, perché veda i mapuche e le belle cose che fanno al telaio. «Se siamo fortunati - aggiungono - magari vedi qualcuno che suona il corno».

Lo sciopero della fame dopo una settimana causa pericolose alterazioni nell'organismo. E' evidente quindi che uno sciopero della fame che dura da più di un mese causa dei danni irrecuperabili. Le alterazioni del ritmo cardiaco e della pressione, avvicinano alla morte, ma è la morte dei mapuche, di un po' di uomini e donne sopravvissuti alla pace dell'Araucania. «Sono testardi questi mapuche», aggiungono, che si rifiutano di accettare passivamente la fine della vita, così spogliati della loro terra senza la quale non sanno, non possono e non vogliono vivere.

Nel deserto di Atacama ci sono 33 minatori rinchiusi sotto una montagna. Sono uomini coraggiosi che non dovrebbero trovarsi sotto tonnellate di pietra se l'azienda mineraria avesse rispettato le norme internazionali della sicurezza del lavoro. Dovrebbero trovarsi ora insieme alle loro famiglie se in Cile l'esigenza di rispettare le norme non fosse considerata un attentato alla libertà di mercato. Quei minatori e la possibilità effettiva - perché le leggi le fanno i padroni a loro uso e consumo - che l'azienda non gli paghi i giorni trascorsi a lavorare lì sepolti, e i giorni che rimarranno lì sepolti fino a quando non li recupereranno, fa parte dello sporco presente del Cile, un presente immobile dal giorno in cui la dittatura ha consegnato il paese ai capricci del libero mercato. Un mercato che genera ricchezze di origine dubbia, come quella dell'attuale presidente.

E anche questo presente è stato occultato, negato, ignorato da tutti coloro che hanno governato potenziando e glorificando il libero mercato. È disgustosa l'epidemia di patriottismo rozzo e banale che la tragedia delle miniere ha suscitato. E' disgustoso vedere soggetti come Leonardo Farkas, quel milionario dalla perenne abbronzatura made in Miami, di origine e stile come quelli di un Berlusconi o di un Piñera, che regalano cinque milioni di pesos alle famiglie dei minatori rinchiusi, senza alcuna progettualità politica, evidentemente. Quando quei minatori saranno recuperati - e devono essere liberati costi quel che costi - se qualcuno di loro dovesse insistere sull'esigenza di un impegno statale che tuteli la sicurezza del lavoro, costui verrà sanzionato con la legge anti-terrorismo?

I minatori di Atacama, così come il premio nazionale di letteratura, fanno parte di quell'attualità che nasconde, occulta e nega il presente più sporco, e questo è il lungo presente dei mapuche. Trentadue uomini del sud rischiano di morire perché chiedono la libertà di prigionieri politici di una democrazia dettata dagli interessi di mercato. Chiedono il riconoscimento legale di uno Stato di Diritto, chiedono che cessi di essere loro applicata l'odiosa legge anti terrorismo che ha eliminato la presunta innocenza e contempla accuse da parte di testimoni incappucciati, processi a porte chiuse, incubi pseudo legali che li condannano a prendere posizioni radicali: ma questo è quel che vuole lo Stato cileno, per giustificare lo sterminio, la soluzione finale del problema dei mapuche.

In Cile, questo strano paese che si affaccia sul mare e alla mercé dalla sua padrona - l'attualità inventata - si respira un presente carico di lerciume e infamia. Adesso l'attualità contemplerà i fasti del bicentenario, nelle osterie si sbaverà cilenitudine, anche la merda puzzerà di patriottismo, volenti o nolenti, il barbaro lemma nazionale sarà l'inno agglutinante di milioni di analfabeti sociali, e nel sud, nel profondo sud, i Mapuche, la Gente della Terra, persevererà la sua giusta lotta, negata, ignorata, occultata, repressa, falsificata dai paladini della cilenitudine, nelle cui vene - così dicono orgogliosi - scorre sangue mapuche.

Quei 32 mapuche che si giocano la vita nelle carceri del sud, sono coloro a cui si riferiva Ercilla quando scrisse sulla terra australe: «La gente che la abita è così superba, gagliarda e bellicosa/che non è stata mai battuta/vinta da alcun re/né mai sottomessa a dominazione straniera».

(Traduzione di Valentina Manacorda)


.Cosa sta accadendo al popolo Mapuche? dal sito WWW.FDCA.IT

L'insostenibile situazione che le varie comunità del popolo Mapuche hanno dovuto affrontare è giunta nuovamente ad punto di crisi.

I prigionieri politici Mapuche, stanchi e preoccupati per la violazioni dei loro diritti, per le torture e le persecuzioni, persino contro minori, per gli abusi ed i trattamenti arbitrari a cui sono sottoposti dallo Stato cileno e dalla sua magistratura, hanno preso la grave decisione di mettersi in sciopero della fame a partire dal 12 luglio di quest'anno.

Questi prigionieri sono accusati di tentata occupazione di terreni e di danno alla proprietà delle compagnie del legname, settore strategico nel modello di esportazioni cileno, che hanno occupato le terre ancestrali del popolo Mapuche.

Oggi, i 31 prigionieri che sono rinchiusi in diversi carceri di alta sicurezza nel sud del Cile (Concepción, Temuco, Valdivia, ed Angol), si sono ancora una volta erti all'unisono per prendere la difficile decisione di rinunciare a cibo ed acqua, affinché si giunga ad una vera soluzione di questo conflitto politico.

Data la situazione, le sottoscritte organizzazioni libertarie da varie parti del mondo, dichiarano la loro piena solidarietà e denunciano lo Stato cileno e la sua magistratura.

1. Essendo il Cile il paese dove i membri delle comunità indigene costituiscono la maggioranza della popolazione carceraria, risultano evidenti in questo paese il razzismo, la discriminazione, l'oppressione e l'ideologia tipica di quegli Stati gestiti con politiche di occupazione coloniale, del tutto simili a quelle fasciste.

2. Avendo lo Stato del Cile ha una struttura legale che non consente percorsi giudiziari giusti e trasparenti, ad esempio il cosiddetto "primato della legge" non vale per il popolo Mapuche, per il quale non vi è uguaglianza di condizioni a fronte dei privilegi per gli interessi economici strategici dell'attuale programma di accumulazione neoliberista in corso nel paese, come le compagnie di legname, compagnie minerarie, impianti idroelettrici, latifondisti, etc.

3. essendo di fronte ad una sistematica politica di annichilimento del popolo Mapuche, non solo promossa dallo Stato e dalla magistratura, ma anche dalla Destra politica ed economica, che viene implementata tramite:

a) La legge anti-Terrorismo, fatta durante gli anni del regime autoritario del dittatore ed assassino Augusto Pinochet. Questa legislazione colpisce i crimini contro la vita, tuttavia nessun Mapuche è stato mai accusato di omicidio. Eppure, alcuni prigionieri sono stati di recente condannati a 50 e persino anche 100 anni di carcere.

b) Vista l'applicazione del doppio processo, in altre parole, i Mapuche vengono processati e condannati 2 volte per la stessa imputazione, una volta dalla magistratura civile ed un'altra da quella militare, cosa che succede solo in questo paese e tra quelli più conservatori al mondo.

c) Considerata la militarizzazione del territorio su cui i Mapuche affermano i loro diritti politici e territoriali. Vale a dire una serie di misure per usare mezzi civili e militari, quali elicotteri e lacrimogeni, maltrattamenti sulle donne e sui bambini rimasti senza la protezione degli uomini adulti, in gran parte in carcere.

d) Preso atto che i media cileni, che hanno assicurato l'invisibilità della protesta ignorando lo sciopero della fame e coloro i quali, dall'altra parte, hanno costantemente criminalizzato la storica protesta sociale dei Mapuche e la loro giusta e legittima lotta per ottenere una rapida e diffusa condanna nell'opinione pubblica.

e) Viste le false testimonianze dei testimoni oculari e di quelli col viso coperto, entrambi pagati dall'accusa e da individui, fino a giungere al caso del procuratore di Stato Francisco Ljubetic che collega le organizzazioni del popolo Mapuche alle FARC in Colombia, creando così un falso e sproporzionato parallelo tra conflitti interni ai due paesi.

f) Visto il segreto investigativo imposto per tutto il processo legale al fine di impedire I diritti della difesa.

g) Considerato che la maggior parte dei prigionieri è rimasta detenuta per tutta la durata del processo (oltre un anno), fattispecie che non rispetta la presunzione di innocenza, che si suppone garantita nell'attuale sistema giudiziario cileno.

h) Vista la persecuzione e l'incarcerazione quale conseguenza della campagna mediatica aizzata dal Pubblico Ministero.

i) Ed infine, visto che il governo cileno continua ad ignorare le richieste dei prigionieri in sciopero della fame, nella speranza di piegare il movimento Mapuche e giocando pericolosamente con la salute dei prigionieri.

Noi chiediamo dunque:

GIUSTIZIA E LIBERTA' PER I PRIGIONIERI POLITICI E PER QUELLI DI ALTRE ETNIE CHE SOSTENGONO QUESTA LOTTA
LA FINE DELLE LEGISLAZIONE ANTI-TERORISMO E DELLA GIUSTIZIA MILITARE
LA DEMILITARIZZAZIONE DELL'AREA
TERRA ED AUTONOMIA PER I POPOLI INDIGENI

Organizzazioni firmatarie:

Convergencia Juvenil Clasista "Hijos del Pueblo" (Ecuador)
Federazione dei Comunisti Anarchici (Italia)
Revista Hombre y Sociedad (Cile)
Organización Revolucionaria Anarquista - Voz Negra (Cile)
Estrategia Libertaria (Cile)
Red Libertaria Popular Mateo Kramer (Colombia)
Grupo Antorcha Libertaria (Colombia)
Workers Solidarity Movement (Irlanda)
Unión Socialista Libertaria (Perù)

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

Per aggiornamenti sulla situazione:

http://www.mapuexpress.net/ http://www.azkintuwe.org

sabato 21 agosto 2010

Uribe nominato membro del comitato che investighera' sull'attacco alla Freedom Flotilla.



L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha designato il presidente uscente della Colombia Alvaro Uribe, il cui governo si è caratterizzato per le denunce di violazioni dei Diritti Umani, come membro di una Commissione internazionale che investigherà sull’attacco dell’esercito israeliano contro la Flotilla che voleva portare aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Il segretario genrale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha considerato come un passo in avanti il fatto che Tel Aviv, dopo due mesi di intensi sforzi diplomatici, ha accettato un’inchiesta sugli avvenimenti. Nell’assalto armato israeliano contro la Flotilla, che partiva dalla Turchia per Gaza, sono morti 9 attivisti umanitari turchi, provocando una condanna internazionale. Da diverse parti del mondo l’azione militare è stata condannata e qualificata come una violazione dei Diritti Umani, soprattutto perché i fatti si sono svolti in acque internazionali. Ban Ki-moon voleva che l’inchiesta contribuisse ad abbassare la tensione nella regione. “La creazione di questo Comitato avrà un effetto positivo sul miglioramento delle relazioni tra Israele e la Turchia e allo stesso tempo porterà un impatto positivo nel processo di pace nel Medio Oriente”, aveva dichiarato.

La commissione che indagherà sui fatti, sarà capitanata dall’ex primo ministro della Nuova Zelanda Geoffrey Palmer, come presidente, e dal rappresentante della Colombia, Alvaro Uribe, come vicepresidente.

Dopo l’annuncio della creazione del comitato, il portavoce Onu, Martin Nesirky, ha spiegato che esso sarà composto anche da un rappresentante della Turchia e uno di Israele, per un totale di soli quattro membri. Per molti analisti, l’autorità del comitato è limitata, per questo il portavoce ha dichiarato che i suoi membri saranno quelli che dovranno decidere se necessitano di chiamare testimoni o di recarsi nella zona per compiere il loro mandato. “Il segretario generale ha chiarito che sarà un’indagine imparziale e affidabile, in linea con gli standard internazionali”, ha assicurato Nesirky.

Rispetto all’elezione di Uribe come vicepresidente del Comitato, Nesirky sostiene che “il segretario generale confida in Geoffrey Palmer e nel presidente uscente della Colombia per assolvere a questo compito in maniera imparziale. Non faranno nulla di più”. Durante gli otto anni di governo Uribe, ci sono state molte denunce di trasgressione ai Diritti Umani in Colombia. Infatti, un rapporto del Comitato Internazionale della Croce Rossa, pubblicato nell’aprile di quest’anno, ha dimostrato che solo nel 2009 in questo paese latinoamericano sono state commesse circa 800 violazioni del diritto umanitario.

Le violazioni “più preoccupanti” secondo la Croce Rossa, sono le esecuzioni sommarie, o i cosiddetti “falsi positivi”, i civili che sono presentati dall’esercito colombiano come guerriglieri morti in combattimento, allo scopo di mostrare i risultati ai superiori e ottenere così dei benefici. In più, un relatore speciale delle Nazioni Unite il 27 maggio ha riferito che i casi di esecuzioni extragiudiziali in Colombia ha raggiunto il 98,5 percento delle impunità e che persistono “gravi problemi” di sicurezza nel paese. Durante il governo di Uribe, inoltre, è stato ordinato alle Forze Armate della Colombia la realizzazione di un attacco militare illegale in territorio ecuadoriano, col pretesto di smantellare un campo temporaneo di guerriglieri. Questi eventi hanno portato alla rottura delle relazioni tra Quito e Bogotà che solo di recente hanno iniziato un tavolo di trattativa per ricomporre i rapporti diplomatici.

Israele alleato militare della Colombia

Israele è uno dei principali paesi che fornisce materiale bellico alla Colombia. La Forza Aerea colombiana ha segnalato di aver ricevuto tre aerei comprati da Israele, come parte di un programma di modernizzazione degli armamenti promossa dal governo di Alvaro Uribe. Secondo lo studio, la Colombia nel 2009 ha destinato alla spesa militare il 3,7 percento del suo prodotto interno lordo, collocandosi come primo tra i paesi del continente. Nel 2008 il governo della Colombia ha concluso con Israele un contratto per 165 milioni di dollari per l’acquisto di 13 caccia di tipo Kafir e il potenziamento di altri 11 della flotta.

Fonte:TeleSur

giovedì 8 luglio 2010

Dalle curve a tutta la società.

Qualcuno probabilmente rimarrà stupito nel vedere pubblicare un breve documentario (45 min.) sul mondo Ultras a lato di diversi articoli e post sulle lotte indigene in Latino America e nel mondo.
Ma oggi noi siamo in Italia e non più nel continente delle rivolte popolari e delle speranze.
Siamo (e speriamo di starci il meno possibile) in un paese dove una manifestazione di terremotati come quella svoltasi ieri a Roma viene repressa dai manganelli della guardia di finanza.
La stessa finanza che dovrebbe monitorare il pagamento delle tasse e dei contributi e che invece fa da braccio armato a una classe politica malavitosa che vuole far pagare, dal prossimo Dicembre, i tributi sulla casa a chi la casa oramai non l'ha più.
Siamo in un paese dove si gioca sulla vita delle persone come se si giocasse a Monopoli; si spartiscono gli appalti, militarizzano una città di macerie e non ricostruiscono.
Un paese dove la farsa è scambiata per realtà, dove la merda è nascosta sotto i tappeti ed è spacciata per cioccolato svizzero.
Siamo in un paese dove la comunità quasi non esiste, un paese nel quale si stanno distruggendo chirurgicamente tutti i luoghi di aggregazione decentrata e autonoma.
Un paese nel quale il gioco più popolare e più bello del mondo viene ridotto a un business elitario.
Nemmeno il peggiore uccello del malaugurio avrebbe previsto che la manifestazione aquilana di ieri sarebbe stata soffocata dalle cariche della celere.
Ma l'augurio più grande è che L'Aquila ora diventi Fenice e che la repressione venga combattuta da un fronte comune e unito nella sua diversità.
Pubblichiamo qui di seguito il video di un incontro tenutosi a Bologna mercoledì 3 Marzo nell' Aula C autogestita della Facoltà di Scienze Politiche.
L'incontro ''Dalle curve a tutta la società, leggi speciali per gli Ultras domani in tutte le città'' ha toccato numerosi punti sensibili nella nostra nazione e nel nostro mondo occidentale quali la privatizzazione, la repressione militarizzata, il controllo sociale..tutte modalità in certi ambienti già viste e sperimentate da molti anni ma che solo ora si stanno estendendo a macchia d'olio nei settori più disparati e fino a ieri più al 'sicuro' della società.
Buona visione e buona riflessione.

I video sono registrati su http://www.myspace.com/smashingmrkve




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mercoledì 16 giugno 2010

5 Giugno 2009: Bagua non si dimentica.

A poco più di un anno dalla strage di Bagua (5 Giugno 2009) perpetrata ai danni della popolazione nativa peruviana da parte del governo aprista di Alan Garcìa pubblichiamo di seguito un breve documentario sulla resistenza indigena al neoliberismo selvaggio e al saccheggio dei territori ancestrali indigeni in Amazzonia.



Copiate e incollate il link di seguito per vedere il video:

http://video.google.com/googleplayer.swf?docId=1789624491349502624

mercoledì 26 maggio 2010

VIVIR BIEN. Proposta di modello governativo in Bolivia.


Bolivia.

In un’intervista, il ministro degli Esteri ed esperto in cosmovisione andina, Davis Choquehuanca, spiega i principali aspetti di questo progetto che ha come fulcro centrale la vita e la natura.

Il Vivir Bien, il modello che cerca di implementare il governo di Evo Morales, può essere brevemente riassunto come il vivere in armonia con la natura riprendendo quei principi ancestrali delle culture della regione secondo cui l’essere umano si colloca al secondo posto rispetto all’habitat ambientale.
Il ministro David Choquehuanca, uno degli studiosi aymaras di questo modello ed esperto in cosmovisione andina, ha spiegato i dettagli di questi princìpi riconosciuti nell’articolo 8 della Costituzione Politica dello Stato (CPE nell’acronimo boliviano, N.d.T.): “Vogliamo tornare a Vivere Bene, il che significa che ricominceremo a valorizzare la nostra storia, la nostra musica, i nostri abiti, la nostra cultura, la nostra lingua, le nostre risorse naturali; successivamente, recupereremo tutto ciò che è nostro e torneremo a essere ciò che siamo stati”.

L’articolo 8 della CPE stabilisce che “Lo stato assume e promuove come princìpi etico-morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere fiacco, non essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene), ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (vita buona), ivi maraei (terra senza male) qhapaj ñan (cammino o vita nobile). Il ministro ha sottolineato la sua distanza dal socialismo

e ancor più dal capitalismo in quanto il primo cerca di soddisfare le necessità dell’uomo mentre invece per il secondo ciò che più conta è il denaro ed il plusvalore.
Secondo Choquehuanca il Vivir Bien è un processo appena iniziato e che poco a poco si intensificherà. Per noi che apparteniamo alla cultura della vita ciò che più importa non è il denaro né l’oro e nemmeno l’uomo (che è invece all’ultimo posto). Ciò che invece importa sono i fiumi, l’aria, le montagne, le stelle, le formiche, le farfalle […]. L’uomo per noi è all’ultimo posto; ciò che più importa è la vita.


Nelle culture;

Aymara: Anticamente chi popolava le comunità Aymara in Bolivia, aspirava a diventare quamiris (persone che vivono bene).

Quechuas: Allo stesso modo, le persone appartenenti a questa cultura aspiravano ad essere qhapaj (gente che vive bene). Un benessere che, però, non è quello economico.

Guaraníes: Il guaraní aspira sempre ad essere una persona in armonia con la natura sperando di poter divenire un giorno iyambae.

Il Vivir Bien dà priorità alla natura piuttosto che all’uomo.
Sono queste le caratteristiche che lentamente il nuovo Stato Plurinazionale implementerà.


Priorità alla vita.

Vivir Bien significa vivere in una comunità in cui tutti coloro i quali ne fanno parte si preoccupano per tutti. Ciò che più importa non è l’uomo (come definisce il socialismo) né il denaro (come afferma il capitalismo), ma la vita. Si cerca un’esistenza più semplice. Lo scopo è quello di creare armonia tra natura e vita con l’unico obiettivo di salvare il pianeta e dare priorità all’umanità.


Accordarsi consensualmente.

Vivir Bien è cercare consenso fra tutti il che significa che, a prescindere dalle differenze tra le persone, nel momento in cui ci si confronta è possibile raggiungere un punto neutrale che coinvolga tutti senza provocare conflitti. “Non siamo contro la democrazia ma cercheremo di analizzarla a fondo perché democrazia significa anche sottomissione e sottomettere il prossimo non è vivere bene”, ha spiegato il ministro David Choquehuanca.


Rispettare le differenze.

Vivir Bien significa rispettare l’altro, saper ascoltare senza discriminazione o sottomissione chiunque desideri parlare. Non si parla di tolleranza, ma di rispetto e, benché ogni cultura e ogni regione abbia il suo proprio punto di vista, per vivere bene e in armonia è necessario rispettare tali differenze. Si tratta di una dottrina che coinvolge tutti gli esseri che abitano questo pianeta, comprese le piante e gli animali.


Vivere in complementarietà.

Vivir Bien è dare priorità alla complementarietà, il che significa che tutti gli esseri umani del pianeta devono essere complementari all’altro. Nelle comunità il bambino è complementare all’anziano, l’uomo alla donna, ecc. L’esempio esposto dal ministro è quello dell’uomo che non deve uccidere le piante in quanto complementari alla sua esistenza e di supporto alla sua sopravvivenza.


Equilibrio con la natura.

Vivir Bien è condurre una vita in equilibrio con tutti gli esseri di una comunità. Come per la democrazia, anche la giustizia è un concetto da escludere perché, secondo il ministro David Choquehuanca, tiene in considerazione solo le persone all’interno di una comunità e non ciò che invece è più importante: la vita e l’armonia dell’uomo con la natura. È per questo che il Vivir Bien aspira ad una vita equa e senza esclusioni.


Difendere l’identità.

Vivir Bien è valorizzare e recuperare la propria identità. In questo nuovo modello l’identità delle popolazioni è molto più importante della dignità. L’identità è godere pienamente di una vita basata su quei valori che hanno resistito per oltre 500 anni (dalla conquista spagnola), che sono stati ereditati da quelle famiglie e da quelle comunità che hanno vissuto in armonia con la natura e con l’intero cosmo.


Uno degli obiettivi principali del Vivir Bien è recuperare l’unione tra tutte le popolazioni.
Il ministro degli Esteri, David Choquehuanca, ha spiegato che anche il saper mangiare, bere, danzare, comunicare e lavorare rappresentano alcuni degli aspetti fondamentali.


Accettare le differenze.

Vivir Bien è rispettare le somiglianze e le differenze tra gli esseri che popolano lo stesso pianeta. Va molto più in là del semplice concetto di diversità. “Non c’è unione nel concetto di diversità ma somiglianza e differenza perché quando si parla di diversità si parla solo di persone”, afferma il ministro. Questo concetto significa che gli esseri somiglianti o differenti non devono mai ferirsi.


Dare priorità ai diritti cosmici.

Vivir Bien è dare priorità ai diritti cosmici piuttosto che ai Diritti Umani. Quando il Governo parla di cambiamento climatico, si riferisce anche ai diritti cosmici (assicura il ministro degli Esteri). “Per questo il Presidente Evo Morales sostiene che sarà più importante parlare di diritti della Madre Terra piuttosto che di Diritti Umani”.


Saper mangiare.

Vivir Bien è saper alimentarsi, saper combinare i cibi adeguati secondo le stagioni dell’anno (alimenti stagionali). Il ministro degli Esteri, David Choquehuanca, spiega che tale aspetto deve essere affrontato in base alle pratiche degli antenati i quali usavano alimentarsi con un solo determinato prodotto per un’intera stagione. Sottolinea che alimentarsi bene garantisce il nostro stato di salute.


Saper bere.

Vivir Bien è saper bere alcool con moderazione. Nelle comunità indigene ogni festa ha un suo significato e l’alcool è presente nelle cerimonie ma, ciò nonostante, lo si consuma con moderazione senza esagerare o recar danno a qualcuno. “Dobbiamo saper bere; nelle nostre comunità esistevano vere e proprie feste legate alle varie stagioni, ma non significa entrare in un locale, avvelenarsi di birra e uccidere i nostri neuroni”.


Saper danzare.

Vivir Bien è saper danzare, non semplicemente saper ballare. La danza è legata ad alcuni eventi concreti come la raccolta o la semina. Le comunità continuano ad onorare la Pachamama con la danza e con la musica soprattutto nei periodi legati all’agricoltura; nelle città le danze originarie vengono considerate espressioni folkloriche. Nella nuova dottrina si rinnoverà il vero significato della danza.


Saper lavorare.

Vivir Bien è considerare il lavoro una festa. “Il lavoro per noi è felicità”, dice il ministro David Choquehuanca, il quale sottolinea che, a differenza del capitalismo in cui chi lavora viene pagato, nel nuovo modello di stato Plurinazionale si riprende la teoria ancestrale del lavoro inteso come festa. È un modo di crescere e per questo nelle culture indigene si lavora fin da piccoli.


Recuperare il abya laya.

Vivir Bien è promuovere l’idea che i popoli si uniscano in una grande famiglia. Per il ministro questo implica che tutte le regioni del paese si ricostituiscano in quello che, ancestralmente, era considerata una grande comunità. “Questo concetto deve estendersi a tutti i paesi ed è per questo che consideriamo buon segno il fatto che tutti i Capi di Stato stiano cercando di riunire tutte le popolazioni e tornare a essere il Abya Laya di un tempo”.


Reintegrare l’agricoltura.

Vivir Bien è reintegrare l’agricoltura nelle comunità. Parte della dottrina del nuovo Stato Plurinazionale è recuperare le forme di convivenza all’interno della comunità come il lavoro della terra e la coltivazione di quei prodotti che possono coprire le necessità basiche per il sostentamento. Saranno devolute terre alle comunità in modo che si generino le economie locali.


Saper comunicare.

Vivir Bien è saper comunicare. Il nuovo Stato Plurinazionale vuole recuperare la comunicazione che esisteva nelle comunità ancestrali. Il dialogo è il risultato di questa buona comunicazione di cui parla il ministro. “Dobbiamo comunicare come facevano un tempo i nostri padri, risolvendo i problemi senza conflitti. Non possiamo perdere questa capacità”.

Il Vivir Bien non significa “vivere meglio”, come propone il capitalismo
Tra le norme stabilite dal nuovo modello di Stato Plurinazionale figurano: il controllo sociale, la reciprocità ed il rispetto per la donna e per l’anziano.


Controllo sociale.

Vivir Bien è realizzare un controllo obbligatorio tra gli abitanti di una comunità. Il ministro Choquehuanca ha affermato che “si tratta di un controllo diverso da quello proposto dal Movimento de Participación Popular che è stato rifiutato da alcune comunità, in quanto riduceva la reale partecipazione della gente”. In passato “tutti controllavano le funzioni delle autorità principali”.


Lavorare in reciprocità.

Vivir Bien è recuperare nelle comunità il concetto di reciprocità. Tra le popolazioni indigene questa pratica è detta ayni, niente di più che la restituzione, sotto forma di lavoro, dell’aiuto prestato da una famiglia in un'attività agricola come la semina o la raccolta. “Si tratta di uno dei tanti princìpi e dei codici che ci garantiscono equilibrio di fronte alle grandi siccità”, spiega il ministro degli Esteri.


Non rubare e non mentire.

Vivir Bien è basarsi nel “ama sua y ama qhilla” (non rubare e non mentire in lingua quechua). È uno dei precetti inclusi nella nuova Costituzione Politica dello Stato Boliviano che il Presidente ha promesso di rispettare. Allo stesso modo, per il ministro è fondamentale che tra le comunità questi princìpi siano rispettati in modo da raggiungere benessere e fiducia tra i suoi abitanti. “Sono tutti codici da seguire per poter vivere bene in futuro”.


Proteggere i semi.

Vivir Bien è proteggere e conservare i semi perché in futuro si evitino i prodotti transgenici. Il libro “Vivir Bien, come risposta alla crisi globale” della cancelleria boliviana specifica che una delle caratteristiche di questo nuovo modello è preservare l’ancestrale ricchezza agricola attraverso la creazione di banche dei semi che evitino l’uso dei prodotti transgenici che incrementano la produttività; si tratta di una miscela chimica in grado di danneggiare e distruggere i semi millenari.


Rispettare la donna.

Vivir Bien è rispettare la donna perché rappresenta la Pachamama, la Madre Terra, capace di generare la vita e di prendersi cura di tutti i suoi frutti. Per questi motivi, all’interno delle comunità, la donna è valorizzata ed è presente in tutte le attività orientate alla vita, all’educazione e alla rivitalizzazione della cultura. Coloro i quali vivono nelle comunità indigene considerano la donna come base dell’organizzazione sociale poiché è lei che trasmette ai suoi figli la conoscenza della sua cultura.


Vivere bene e non meglio.

Vivir Bien non significa “vivere meglio”, concetto questo generalmente legato al capitalismo. Per la nuova dottrina dello Stato Plurinazionale, vivere meglio si traduce nella parola egoismo, disinteresse per gli altri, individualismo ed interesse unico nel profitto. La nuova dottrina considera quella capitalista fautrice dello sfruttamento delle persone al solo scopo di arricchire i pochi, mente il Vivir Bien guarda a una vita più semplice in grado di sostenere una produzione equilibrata.


Recuperare risorse.

Vivir Bien è recuperare la naturale ricchezza del proprio paese e permettere che tutti beneficino di tale ricchezza in maniera equilibrata ed equa. Lo scopo della dottrina del Vivir Bien è anche quello di nazionalizzare e recuperare le imprese strategiche del territorio nell’ambito dell’equilibrio e della convivenza tra l’uomo e la natura in contrapposizione ad uno sfruttamento irrazionale delle risorse naturali. “Innanzitutto bisogna dare priorità alla natura”, ha aggiunto il ministro.


Esercitare la sovranità.

Vivir Bien è esercitare la sovranità nazionale partendo dalle comunità. Secondo il libro “Vivir Bien come risposta alla crisi globale” questo significa che raggiungeremo la sovranità attraverso un consenso comunale capace di definire e di costruire unità e responsabilità a favore del bene comune e senza esclusione alcuna. In questo stesso contesto si ricostruiranno comunità e nazioni, allo scopo di istituire una società sovrana che governi in armonia con l’individuo, con la natura e con il cosmo.


Fare buon uso dell’acqua.

Vivir Bien è distribuire l’acqua in modo razionale e fare di questo bene un uso corretto. Il ministro degli Esteri sostiene che l’acqua è il latte degli esseri che abitano il pianeta. “Abbiamo tanto: risorse naturali, acqua… La Francia, per esempio, non ha né la quantità di acqua né la quantità di terra che possiede il nostro paese, eppure non esiste nessun Movimento Senza Terra. Dobbiamo valorizzare ciò che abbiamo e preservarlo il più possibile; questo significa Vivere Bene”.


Ascoltare gli anziani.

Vivir Bien è leggere le rughe degli anziani per riprendere il cammino. Il ministro sostiene che gli anziani delle comunità rappresentano una delle principali fonti di conoscenza essendo custodi di storie e tradizioni che si perdono con il passare degli anni. “I nostri anziani sono biblioteche ambulanti e dunque dobbiamo sempre imparare da loro”, afferma. È per questo che nelle comunità indigene del paese gli anziani sono rispettati e consultati.



Traduzione di Silvia Dammacco

lunedì 24 maggio 2010

Federico Aldrovandi, ucciso dalla polizia senza una ragione.


Ferrara, via dell’Ippodromo. All’alba del 25 settembre 2005 muore a seguito di un controllo di polizia Federico Aldrovandi, 18 anni. Dopo due anni di coperture e reticenze, durante i quali le versioni ufficiali sposavano la tesi della morte per overdose e dell’innocenza dei tutori dell’ordine, il 20 ottobre 2007 è iniziato il processo a quattro agenti. Omicidio colposo l’ipotesi di reato per i poliziotti che avrebbero “cagionato o comunque concorso a cagionare la morte” di Federico per non aver chiamato il soccorso medico, ingaggiando al contrario “una colluttazione in maniera imprudente pur trovandosi in evidente superiorità numerica”. Mentre il ragazzo implorava aiuto e chiedeva agli agenti di fermarsi “con la significativa parola basta, lo mantenevano ormai agonizzante ammanttato con la faccia in giù”.
Nel nostro speciale i resoconti di tutte le udienze. I consulenti di parte civile attribuiscono il decesso alla concausa di fattori (dovuti al comportamento degli agenti) che avrebbero portato all’asfissia e non agli stupefacenti, per quelli della difesa Federico sarebbe morto anche a casa per le sostanze assunte. A novembre 2008 il “colpo di scena”, agli atti del processo una foto che mostrerebbe inequivocabilmente come causa di morte sia un ematoma cardiaco causato da una pressione sul torace, escludendo ogni altra ipotesi. Su questa immagine è acceso il dibattito, nelle ultime udienze della fase istruttoria, tra i periti chiamati a deporre dai legali dalla famiglia e quelli della difesa. Infine la condanna degli agenti. Il giudice: «Ucciso senza una ragione».


.Tre dei poliziotti condannati per l’omicidio di Aldro querelano la madre.

Patrizia Moretti chiamata a comparire in tribunale per diffamazione. Sul blog
dedicato a Federico le parole piene d’amarezza del marito Lino.


«Questa mattina sono andato a prendere in posta un atto giudiziario indirizzato a Patrizia, mia moglie, la mamma di Federico, la madre di mio figlio ucciso il 25 settembre 2005 da quattro individui in divisa, come da sentenza del 6 luglio 2009. Credevo a una violazione magari al codice della strada…»

E invece Lino Aldrovandi, come racconta sul blog dedicato al figlio, si trova davanti ad una «una fissazione di udienza per il 18 giugno 2010 presso il Tribunale di Mantova» per Patrizia Moretti e per due giornalisti dell’agenzia Ansa e del quotidiano Nuova Ferrara, accusati di diffamazione a mezzo stampa in relazione ad un’intervista nel 2008.

Prosegue il padre di Federico: «Quello che mi fa più male è il fatto che il Pubblico Ministero aveva richiesto l’archiviazione per questo fatto specifico» ma i querelanti, tre dei quattro poliziotti condannati in primo grado per eccesso colposo in omicidio colposo, «hanno pensato bene di non accettarla e di avvalersi del rito dell’opposizione»

Nell’articolo in questione, apparso sul quotidiano La Nuova Ferrara il 5 luglio 2008, Patizia Moretti confrontava il caso Aldrovandi con quello, analogo, di Riccardo Rasman, concludendo: «Noi, io e Giuliana, la sorella di Riccardo, non consideriamo quelle persone come rappresentanti delle istituzioni, ma solo come delinquenti». Per questa frase si troverà tra un mese sul banco degli imputati.

Federico fu fermato da quei tre poliziotti, tutt’ora in servizio, e dal loro collega, all’alba, di ritorno da una serata di divertimento a Bologna, e furono le ultime persone che vide prima di morire, il volto tumefatto e il corpo pieno di lividi. Asfissia posturale, dice la sentenza di primo grado: dopo una colluttazione, violenta al punto che i manganelli dei poliziotti si spezzarono, lo ammanettarono costringendolo a terra prono, di peso. Gli mancò l’ossigeno e morì. Ucciso senza alcuna ragione.

Con quali parole si possono definire persone che inferiscono sui genitori di questo ragazzo trascindandoli in tribunale?

Per saperne di più:
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/

sabato 24 aprile 2010

Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climàtico y los Derechos de la Madre Tierra.

Divulghiamo l'articolo di Simona Falasca pubblicato su www.greenme.it:




VIDEO DI PRESENTAZIONE CMPCC

In Bolivia al via la Conferenza alternativa sul clima dei popoli nativi per fermare la "febbre di Pacha Mama".

I nativi delle Ande, la chiamano Pacha Mama e la venerano come se fosse una divinità. Noi non riusciamo a portarle neanche rispetto. E quando con un summit abbiamo provato a salvarla, abbiamo fallito miseramente. Ora tocca a loro, agli indigeni del Sud America, cercare di “fermare la febbre” di Madre Natura. Si apre oggi in Bolivia la prima Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra (Cmpcc) che sta radunando a Cochabamba oltre 15.000 persone tra scienziati, rappresentanti delle Ong e sindacalisti (ma anche qualche eco-vip come la sociologa canadese Naomi Klein).

Una “conferenza dei popoli” sul riscaldamento globale alla quale parteciperanno delegati provenienti da tutto il mondo per trattare argomenti come i rifugiati climatici, il Protocollo di Kyoto, la riduzione delle emissioni di CO2. Un copione già visto? No perché quella di Cochabamba è cosa ben diversa dalla Conferenza di Copenahgen. A partire dal luogo scelto, una cittadina dell'altipiano boliviano a 2.500 metri sul livello del mare che, alla luce della grande affluenza, si trova di fronte al problema di dove ospitare tutti i vari rappresentanti avendo a disposizione solo 1.600 camere, ma che conserva intatte molte delle tradizioni andine.

Anche la scelta del logo del Cmpcc è un chiaro segnale della diversa prospettiva di approccio: molto più colorato della tecnologica quanto fredda palla blu del summit di Copenaghen, il simbolo disegnato dalla Bolivia vuole trasmettere tre messaggi particolari, a cominciare dalla rappresentazione del planisfero opposta a quella tradizionale in cui solitamente il Nord del mondo e in particolare gli Stati Uniti, sono in primo piano. Qui invece è il Sud ad essere in alto in un mondo sorretto da un indigena che si carica sulle spalle tutta la responsabilità di prendersi cura della Terra. Sullo sfondo poi si può distinguere una wiphala che è il simbolo dell'interculturalità dei popoli: una diversità di colori che rappresentano le diverse culture che, condividendo lo stesso spazio devono per forza di cose trovare una nuova direzione comune.

Ed è per questo che i 17 gruppi di lavoro oltre che di climate change discuteranno anche di temi come "Armonia con la natura e benessere", diritti della Madre Tierra, Popoli indigeni. Molto diversa sarà anche la cerimonia di inaugurazione: un rituale ancestrale nel quale i nativi faranno offerte alla Pacha Mama.

Il brainstorming sulle Ande alla quale parteciperanno quasi tutti gli Stati dell'America Latina, ma anche il Gran Consiglio dei Popoli nativi del Canada, degli Usa e dei diversi Paesi africani ed asiatici vuole essere proporsi insomma come una conferenza alternativa in grado però di influenzare l'agenda mondiale sul clima dando voce a “chi non ha voce”, ma è la maggiore vittima del riscaldamento globale.

E' per questo che la Bolivia ha anche proposto l'istituzione di un Tribunale internazionale della giustizia climatica a cui far giudicare quei governi e quelle imprese che attentano alla vita del pianeta. Inoltre ha anche annunciato la volontà di dare vita ad un'organizzazione mondiale alternativa all'Onu nel caso in cui quest'ultimo continuerà ad ignorare le denunce dei popoli nativi.

«Dal 19 al 23 la Bolivia sarà la vetrina del mondo, perché avrà molta stampa internazionale e prima noi dovevamo pregare per avere accesso ai mezzi di comunicazione – ha dichiarato il presidente boliviano Evo Morales all'indomani della Conferenza - Mai prima d'ora si era verificato un evento di questa grandezza, che unisce i movimenti sociali dei cinque continenti. Sono sicuro che con questo faremo la storia e questo non solo per la Bolivia, ma anche per l'America e, chi lo sa, per il mondo. Alla Conferenza mondiale assisteranno popoli indigeni dei cinque continenti per discutere dei problemi ambientali mondiali e conoscere iniziative alternative che affrontano il problema che colpisce l'umanità, dopo il fallimento della Conferenza di Copenhagen».

E questo summit sarà propri l'occasione per chiedere formalmente di includere i delegati indigeni nella prossima Conferenza Onu di Cancun come partecipanti e non più come figuranti o osservatori. Perché è proprio da punti di vista alternativi che può giungere la soluzione. Come ci tiene a precisare Rafael Quispe, indio aymara del principale consiglio indio di Bolivia, "il cambiamento climatico non è solo un problema ambientale, tecnologico o finanziario, ma di stile di vita, di modello occidentale di cupidigia capitalista".

La Cmpcc, durante la quale è stata proibita la vendita e il consumo di alcool sul territorio nazionale, si concluderà con un grande evento di massa previsto per il 22 aprile, il Día Internacional de la Madre Tierra.

Simona Falasca


mercoledì 14 aprile 2010

Ieri accadde a Bagua. Oggi si ripete a Madre de Dios e ad Arequipa.

Divulghiamo l'articolo di Luis Arce Norja pubblicato su www.bolpress.com e su www.asud.net:



Perù: Alan García Perez, psicopatico o esperto criminale?


[Fonte: BolPress] Alan García Pérez è un caso che dimostra che se un assassino o un delinquente esperto non viene arrestato e punito per i suoi gravi delitti, continuerà ad essere una seria minaccia per la popolazione. Nella politica ciò è molto più grave, soprattutto se ha a che fare con il potere dello stato, le forze armate e le forze di polizia.

García Pérez, durante il suo primo governo (1985-1990), ha applicato una politica di crimini e uccisioni di massa di liberi cittadini. Ha organizzato gruppi paramilitari per assassinare i suoi oppositori e ha pianificato e dato l’ordine per sterminare 300 prigionieri (episodi di Lurigancho, El Frontón, Santa Bárbara). Ha forse pagato per questi crimini? No, al contrario è stato acclamato e premiato con una nuova presidenza alla guida del Perù.

I nuovi massacri di lavoratori che ora commette con il potere dello stato, hanno la sicura impunità sia penale che politica. Questi atti contano con la complicità di un potere giudiziario corrotto, di un parlamento inservibile, e di una “opposizione” politica mediocre, che fa parte dello stesso sistema corrotto e degenerato che ora amministra il governo aprista di García Pérez.

In tutto ciò bisogna divergere da tutti coloro che definiscono il Presidente peruviano un pazzo, un demente o uno psicopatico. García Pérez è peggiore di questa definizione, è un reazionario che per servire le imprese transnazionali è capace di ordinare i peggiori e più abominevoli massacri di cittadini e lavoratori peruviani.

Massacro a Madre de Dios;

All’alba di sabato 3 aprile, le forze di polizia hanno caricato con estrema ferocia una folla di manifestanti a Madre de Dios, una regione selvaggia nel sud-est del Perù. Il bilancio di questa repressione a spese della democrazia peruviana e del il governo di Alan García Pérez è stato molto elevato. Secondo alcuni, i minatori morti per colpi d’arma da fuoco sono stati 43, più di 11 poliziotti sono stati uccisi dai manifestanti, e decine di lavoratori sono stati feriti (informazioni dal corrispondente Martín Herrera).


Per la maggior parte della stampa peruviana, in gran parte abituata a coprire i crimini del governo, i minatori uccisi durante la repressione della polizia sono stati tra le 5 e le 6 persone. Martín Herrera riferisce che lo scontro è avvenuto all’entrata della città di Tambopata (Puerto Maldonado), quando un contingente di poliziotti armati di fucili da guerra e mitragliatrici, hanno provato a impedire l’ingresso di migliaia di minatori.


Secondo la cronaca di questo fatto sanguinoso, Puerto Maldonado si è trasformata in una città in fiamme, spari di mitragliatrice, bombe, e minatori armati di fucili da caccia, coltelli, pietre e altre armi utilizzate per far fronte alle orde criminali di poliziotti e soldati che erano arrivate per uccidere i minatori che protestavano contro il governo. Secondo Martín Herrera, tutto Puerto Maldonado puzzava di polvere da sparo e i corpi dei minatori trivellati giacevano abbandonati nelle strade. L’esercito ha dichiarato lo “stato di emergenza”, e con questo ha esteso la repressione al resto della popolazione.

Massacro ad Arequipa;

Lo stesso giorno anche nella città di Chala (Dipartimento di Arequipa), una città molto distante da Puerto Maldonado, la polizia attaccava violentemente una manifestazione di lavoratori delle miniere informali. Il bilancio, secondo fonti ufficiali, è stato di 6 minatori morti e un centinaio di feriti per colpi d’arma da fuoco. Quel giorno, circa 7 mila minatori si erano dichiarati in sciopero in solidarietà con i compagni di Madre de Dios. Come parte dell’azione di protesta, avevano occupato la strada Panamericana e bloccato la circolazione su questa importante arteria di comunicazione tra Arequipa e il resto del Perù.


Secondo i testimoni, la polizia era arrivata con “ordine di uccidere”, e per questa ragione non hanno avuto nessuno scrupolo a sparare contro i lavoratori che si sono dovuti difendere con frecce rudimentali, pali e pietre. Non avevano nessuna arma da fuoco per far fronte alla polizia. Come successo a Madre de Dios, anche tutto il Dipartimento di Arequipa è stata dichiarato zona d’emergenza e militari e poliziotti hanno assunto il controllo totale della regione.


Di fronte a queste misure repressive e criminali, Alan García Pérez ha risposto con gli stessi argomenti che già aveva usato altre volte per giustificare le sue azioni criminali. Cinico e spietato ha dichiarato che “Lo stato dimostra di portare i pantaloni” e che “il governo non si tira indietro nell’affrontare le miniere informali che schiavizzano bambini e giovani, oltre ad avvelenare fiumi e inquinare l’ambiente”. “Questo mi sembra una vigliaccheria. Lo Stato deve dimostrare di avere dei principi. Che il Perù sia testimone. Noi non ci tiriamo indietro, potremmo lasciare che questa gente continui ad estrarre l’oro, avvelenando ragazzi e bambini e sfruttando molte persone in questa zona”.

Genocidio etnico a Bagua;


I fatti sanguinosi di Madre de Dios e Arequipa sono casi simili a quello che successe nel 2009 a Bagua. Qui, venerdì 5 e sabato 6 giugno del 2009, Alan García Pérez ordinò una violenta repressione contro nativi e abitanti di Bagua (Amazzonia) che chiedevano il rispetto dei loro territori ancestrali, che il governo stava vendendo alle imprese transnazionali.


Il risultato fu di circa 50 indigeni assassinati, una decina di scomparsi e centinaia di feriti da proiettili vaganti. Nello scontro morirono 11 poliziotti, trafitti da lance che i nativi utilizzarono per difendersi. Questo bagno di sangue fu un genocidio etnico e il suo obiettivo fu aprire il cammino per continuare a consegnare l’amazzonia nelle mani delle grande compagnie petrolifere e minerarie internazionali. A questa violenta repressione presero parte 600 poliziotti e più di 200 soldati dell’esercito, appoggiati da elicotteri d’assalto e carri armati. Giorni dopo questa carneficina, Alan García Pérez, con il suo consueto cinismo, parlò pubblicamente per giustificare il massacro e dichiarare minacciosamente che il governo non avrebbe accettato il ricatto di un gruppo di peruviani.


Per questo crimine nessuna persona fu accusata, né sanzionata. Fino ad oggi non si sa nulla dei nativi spariti e nessun rappresentante del governo né della polizia o dell’esercito è stato accusato per l’assassinio dei circa 50 indigeni. Per coprire questo massacro fu applicato il metodo di sempre e i partiti di “opposizione” presentarono una proposta per “formare una commissione d’indagine su questo fatto di repressione”.
Ora sarà la stessa cosa e ancora una volta, “l’opposizione, soprattutto adesso che è in campagna elettorale, esigerà una “commissione d’inchiesta” e l’epilogo sarà quello di sempre. Nessuno nel governo è colpevole e le vittime rimarranno per sempre nel dimenticatoio”.


Luis Arce Norja

Traduzione Gaia Pagano

lunedì 12 aprile 2010

Noi stiamo con Emergency.



Firmare e diffondere l'appello.

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.



Emergency è indipendente e neutrale.
Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

IO STO CON EMERGENCY

Firma l'appello
Tra gli altri hanno aderito
Il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah
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Testimonianze
Entra nel sito di Emergency


On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

EMERGENCY is an independent and neutral organisation. Since 1999, EMERGENCY in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.

I SUPPORT EMERGENCY

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lunedì 22 marzo 2010

Caso Andoas. Trailer.

Trailer del film-documentario sulla rivolta indigena dei popoli Achuar e Kichuas a Nueva Andoas.
Dopo anni di morte, di inascolto, di sfruttamento e inquinamento la comunità nativa decise l'occupazione pacifica dell'aereoporto per protestare contro i soprusi della multinazionale petroliera argentina PlusPetrol e contro il Governo.
Intervennero le forze armate e ne seguì una fortissima repressione; negli scontri morì un poliziotto.
La polizia entrò sparando nella comunità indigena, seguirono arresti e torture che documentammo nel Luglio 2009 a Iquitos (Loreto) intervistando John Vega Flores e seguendo il processo che lo vedeva imputato per omicidio.
Era imputato insieme ad altre 53 persone. John è stato assolto ma Andoas continua ad essere violentata.


mercoledì 10 febbraio 2010

TAYRONA. Guerreros del Sol.



.Caracas.

Abbiamo trascorso l'ultimo mese tra il Parco Nazionale Tayrona e la Sierra Nevada di Santa Marta.
Al Tayrona giá eravamo stati tra Ottobre e Novembre dell'anno passato;
allora conoscemmo Cecilia e scrivemmo della sua storia presente e passata segnata dal carcere e della sua ancestrale e degna cultura indigena Arhuaco che si mantiene forte e radicata nella Sierra.
Al Tayrona l'abbiamo reincontrata insieme agli amici Alex e Alfredo.
Alfredo ha 55 anni, Alex 29.
Il primo vive nel parco da ormai 40 anni in una sorta di armonioso eremitaggio; insieme ai due fratelli é proprietario di un terreno che é stato trasformato in campeggio dopo che il parco passó sotto la proprietá dello Stato nel 1969 e fu dichiarato area protetta nel 1964.
Alex vive qui da poco piú di due anni e si mantiene preparando cioccolato organico che vende ai turisti.
Il documentario pubblicato di seguito racconta la loro storia e quella della riserva minacciata da un progetto dello Stato che prevede la costruzione di un teleferico che avrebbe una delle sue quattro stazioni nella localitá di Pueblito, sacra per gli indigeni Arhuaco.
Violare la sacralitá di questo posto significherebbe cancellare la cultura indigena Arhuaco e quella di tutti i popoli indigeni discendenti dai Tayrona, i guerrieri del Sole, sterminati giá ai tempi dei conquistadores.
I superstiti scapparono e si rifugiarono nella Sierra Nevada dove ha sede la Cittá Perduta, meta annuale di migliaia di turisti.
Il Tayrona é stato dato in concessione ad una compagnia francese; solo il cinque per cento del terreno é del Governo ormai.
Il presidente colombiano Uribe si sta impegnando personalmente perché il teleferico sia costruito al piú presto e perché il progetto venga approvato.
La comunitá indigena, gli abitanti e la grandissima maggioranza dei turisti si oppongono a questo programma che sarebbe uno scempio.
Per arrivare ai campeggi ed alle spiagge l'unico modo é camminare nel mezzo della selva e noleggiare un cavallo od un mulo per portare le provviste di cibo.
Questo fa parte dell'armonia del parco;
di quell'armonia della quale siamo stati testimoni, di quell'armonia che Alex e Alfredo ci narrano e che é in pericolo.
L'armonia delle comunitá e della Madre Terra é minacciata in tutto il mondo a causa del profitto e delle selvagge politiche neoliberiste che legano la storia di questo parco e di questa gente a quelle dei popoli della Val di Susa, di Chiaiano, di Messina e Reggio Calabria, di Vicenza, di Venezia e di tutte le terre e soggettivitá minacciate dalle 'grandi opere'.
In Italia polizia e carabinieri sono il braccio destro del Governo per reprimere (sará dura) la resistenza della gente;
un domani in Colombia, se questo progetto sará permesso, la repressione sará gestita dai paramilitari solo teoricamente smobilizzati.
Vi lasciamo alla visione del documentario girato dagli amici Rolando Angarita e Victor Jaramillo.














CLIC AQUI'

martedì 5 gennaio 2010

Caso Andoas: tutti assolti!




.Caracas.

Sono passati sei mesi da quando eravamo a Iquitos, nel capoluogo della regione di Loreto in Perú, porta d'accesso alla selva amazzonica.
Per piú di un mese, allora, seguimmo le vicende degli amici indigeni Marco Polo Ramires, José Fachín e di John Vega Flores;
rappresentanti delle comunitá native Achuares e Quichwa di Nueva Andoas ed emblema della lotta ancestrale dei loro popoli in difesa della Terra, della Pachamama, del suo equilibrio e delle sue risorse.
Ad Iquitos intervistammo John Vega Flores che ci raccontó delle torture e della situazione indigena in Amazzonia.
Tutti e tre gli amici, rischiavano 23 anni di carcere per aver difeso la loro gente dalla multinazionale petrolifera argentina Pluspetrol e dal saccheggio di cui questa era protagonista..
Prima che il processo iniziasse furono incarcerati e torturati per un anno.
Veniamo a conoscenza da poche ore della sentenza di pochi giorni fa:



Un abbraccio di libertá.








Saulo Sanchez esulta per l'assoluzione; rischiava l'ergastolo.





Tutti i processati sono stati assolti!