sabato 24 aprile 2010

Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climàtico y los Derechos de la Madre Tierra.

Divulghiamo l'articolo di Simona Falasca pubblicato su www.greenme.it:




VIDEO DI PRESENTAZIONE CMPCC

In Bolivia al via la Conferenza alternativa sul clima dei popoli nativi per fermare la "febbre di Pacha Mama".

I nativi delle Ande, la chiamano Pacha Mama e la venerano come se fosse una divinità. Noi non riusciamo a portarle neanche rispetto. E quando con un summit abbiamo provato a salvarla, abbiamo fallito miseramente. Ora tocca a loro, agli indigeni del Sud America, cercare di “fermare la febbre” di Madre Natura. Si apre oggi in Bolivia la prima Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra (Cmpcc) che sta radunando a Cochabamba oltre 15.000 persone tra scienziati, rappresentanti delle Ong e sindacalisti (ma anche qualche eco-vip come la sociologa canadese Naomi Klein).

Una “conferenza dei popoli” sul riscaldamento globale alla quale parteciperanno delegati provenienti da tutto il mondo per trattare argomenti come i rifugiati climatici, il Protocollo di Kyoto, la riduzione delle emissioni di CO2. Un copione già visto? No perché quella di Cochabamba è cosa ben diversa dalla Conferenza di Copenahgen. A partire dal luogo scelto, una cittadina dell'altipiano boliviano a 2.500 metri sul livello del mare che, alla luce della grande affluenza, si trova di fronte al problema di dove ospitare tutti i vari rappresentanti avendo a disposizione solo 1.600 camere, ma che conserva intatte molte delle tradizioni andine.

Anche la scelta del logo del Cmpcc è un chiaro segnale della diversa prospettiva di approccio: molto più colorato della tecnologica quanto fredda palla blu del summit di Copenaghen, il simbolo disegnato dalla Bolivia vuole trasmettere tre messaggi particolari, a cominciare dalla rappresentazione del planisfero opposta a quella tradizionale in cui solitamente il Nord del mondo e in particolare gli Stati Uniti, sono in primo piano. Qui invece è il Sud ad essere in alto in un mondo sorretto da un indigena che si carica sulle spalle tutta la responsabilità di prendersi cura della Terra. Sullo sfondo poi si può distinguere una wiphala che è il simbolo dell'interculturalità dei popoli: una diversità di colori che rappresentano le diverse culture che, condividendo lo stesso spazio devono per forza di cose trovare una nuova direzione comune.

Ed è per questo che i 17 gruppi di lavoro oltre che di climate change discuteranno anche di temi come "Armonia con la natura e benessere", diritti della Madre Tierra, Popoli indigeni. Molto diversa sarà anche la cerimonia di inaugurazione: un rituale ancestrale nel quale i nativi faranno offerte alla Pacha Mama.

Il brainstorming sulle Ande alla quale parteciperanno quasi tutti gli Stati dell'America Latina, ma anche il Gran Consiglio dei Popoli nativi del Canada, degli Usa e dei diversi Paesi africani ed asiatici vuole essere proporsi insomma come una conferenza alternativa in grado però di influenzare l'agenda mondiale sul clima dando voce a “chi non ha voce”, ma è la maggiore vittima del riscaldamento globale.

E' per questo che la Bolivia ha anche proposto l'istituzione di un Tribunale internazionale della giustizia climatica a cui far giudicare quei governi e quelle imprese che attentano alla vita del pianeta. Inoltre ha anche annunciato la volontà di dare vita ad un'organizzazione mondiale alternativa all'Onu nel caso in cui quest'ultimo continuerà ad ignorare le denunce dei popoli nativi.

«Dal 19 al 23 la Bolivia sarà la vetrina del mondo, perché avrà molta stampa internazionale e prima noi dovevamo pregare per avere accesso ai mezzi di comunicazione – ha dichiarato il presidente boliviano Evo Morales all'indomani della Conferenza - Mai prima d'ora si era verificato un evento di questa grandezza, che unisce i movimenti sociali dei cinque continenti. Sono sicuro che con questo faremo la storia e questo non solo per la Bolivia, ma anche per l'America e, chi lo sa, per il mondo. Alla Conferenza mondiale assisteranno popoli indigeni dei cinque continenti per discutere dei problemi ambientali mondiali e conoscere iniziative alternative che affrontano il problema che colpisce l'umanità, dopo il fallimento della Conferenza di Copenhagen».

E questo summit sarà propri l'occasione per chiedere formalmente di includere i delegati indigeni nella prossima Conferenza Onu di Cancun come partecipanti e non più come figuranti o osservatori. Perché è proprio da punti di vista alternativi che può giungere la soluzione. Come ci tiene a precisare Rafael Quispe, indio aymara del principale consiglio indio di Bolivia, "il cambiamento climatico non è solo un problema ambientale, tecnologico o finanziario, ma di stile di vita, di modello occidentale di cupidigia capitalista".

La Cmpcc, durante la quale è stata proibita la vendita e il consumo di alcool sul territorio nazionale, si concluderà con un grande evento di massa previsto per il 22 aprile, il Día Internacional de la Madre Tierra.

Simona Falasca


mercoledì 14 aprile 2010

Ieri accadde a Bagua. Oggi si ripete a Madre de Dios e ad Arequipa.

Divulghiamo l'articolo di Luis Arce Norja pubblicato su www.bolpress.com e su www.asud.net:



Perù: Alan García Perez, psicopatico o esperto criminale?


[Fonte: BolPress] Alan García Pérez è un caso che dimostra che se un assassino o un delinquente esperto non viene arrestato e punito per i suoi gravi delitti, continuerà ad essere una seria minaccia per la popolazione. Nella politica ciò è molto più grave, soprattutto se ha a che fare con il potere dello stato, le forze armate e le forze di polizia.

García Pérez, durante il suo primo governo (1985-1990), ha applicato una politica di crimini e uccisioni di massa di liberi cittadini. Ha organizzato gruppi paramilitari per assassinare i suoi oppositori e ha pianificato e dato l’ordine per sterminare 300 prigionieri (episodi di Lurigancho, El Frontón, Santa Bárbara). Ha forse pagato per questi crimini? No, al contrario è stato acclamato e premiato con una nuova presidenza alla guida del Perù.

I nuovi massacri di lavoratori che ora commette con il potere dello stato, hanno la sicura impunità sia penale che politica. Questi atti contano con la complicità di un potere giudiziario corrotto, di un parlamento inservibile, e di una “opposizione” politica mediocre, che fa parte dello stesso sistema corrotto e degenerato che ora amministra il governo aprista di García Pérez.

In tutto ciò bisogna divergere da tutti coloro che definiscono il Presidente peruviano un pazzo, un demente o uno psicopatico. García Pérez è peggiore di questa definizione, è un reazionario che per servire le imprese transnazionali è capace di ordinare i peggiori e più abominevoli massacri di cittadini e lavoratori peruviani.

Massacro a Madre de Dios;

All’alba di sabato 3 aprile, le forze di polizia hanno caricato con estrema ferocia una folla di manifestanti a Madre de Dios, una regione selvaggia nel sud-est del Perù. Il bilancio di questa repressione a spese della democrazia peruviana e del il governo di Alan García Pérez è stato molto elevato. Secondo alcuni, i minatori morti per colpi d’arma da fuoco sono stati 43, più di 11 poliziotti sono stati uccisi dai manifestanti, e decine di lavoratori sono stati feriti (informazioni dal corrispondente Martín Herrera).


Per la maggior parte della stampa peruviana, in gran parte abituata a coprire i crimini del governo, i minatori uccisi durante la repressione della polizia sono stati tra le 5 e le 6 persone. Martín Herrera riferisce che lo scontro è avvenuto all’entrata della città di Tambopata (Puerto Maldonado), quando un contingente di poliziotti armati di fucili da guerra e mitragliatrici, hanno provato a impedire l’ingresso di migliaia di minatori.


Secondo la cronaca di questo fatto sanguinoso, Puerto Maldonado si è trasformata in una città in fiamme, spari di mitragliatrice, bombe, e minatori armati di fucili da caccia, coltelli, pietre e altre armi utilizzate per far fronte alle orde criminali di poliziotti e soldati che erano arrivate per uccidere i minatori che protestavano contro il governo. Secondo Martín Herrera, tutto Puerto Maldonado puzzava di polvere da sparo e i corpi dei minatori trivellati giacevano abbandonati nelle strade. L’esercito ha dichiarato lo “stato di emergenza”, e con questo ha esteso la repressione al resto della popolazione.

Massacro ad Arequipa;

Lo stesso giorno anche nella città di Chala (Dipartimento di Arequipa), una città molto distante da Puerto Maldonado, la polizia attaccava violentemente una manifestazione di lavoratori delle miniere informali. Il bilancio, secondo fonti ufficiali, è stato di 6 minatori morti e un centinaio di feriti per colpi d’arma da fuoco. Quel giorno, circa 7 mila minatori si erano dichiarati in sciopero in solidarietà con i compagni di Madre de Dios. Come parte dell’azione di protesta, avevano occupato la strada Panamericana e bloccato la circolazione su questa importante arteria di comunicazione tra Arequipa e il resto del Perù.


Secondo i testimoni, la polizia era arrivata con “ordine di uccidere”, e per questa ragione non hanno avuto nessuno scrupolo a sparare contro i lavoratori che si sono dovuti difendere con frecce rudimentali, pali e pietre. Non avevano nessuna arma da fuoco per far fronte alla polizia. Come successo a Madre de Dios, anche tutto il Dipartimento di Arequipa è stata dichiarato zona d’emergenza e militari e poliziotti hanno assunto il controllo totale della regione.


Di fronte a queste misure repressive e criminali, Alan García Pérez ha risposto con gli stessi argomenti che già aveva usato altre volte per giustificare le sue azioni criminali. Cinico e spietato ha dichiarato che “Lo stato dimostra di portare i pantaloni” e che “il governo non si tira indietro nell’affrontare le miniere informali che schiavizzano bambini e giovani, oltre ad avvelenare fiumi e inquinare l’ambiente”. “Questo mi sembra una vigliaccheria. Lo Stato deve dimostrare di avere dei principi. Che il Perù sia testimone. Noi non ci tiriamo indietro, potremmo lasciare che questa gente continui ad estrarre l’oro, avvelenando ragazzi e bambini e sfruttando molte persone in questa zona”.

Genocidio etnico a Bagua;


I fatti sanguinosi di Madre de Dios e Arequipa sono casi simili a quello che successe nel 2009 a Bagua. Qui, venerdì 5 e sabato 6 giugno del 2009, Alan García Pérez ordinò una violenta repressione contro nativi e abitanti di Bagua (Amazzonia) che chiedevano il rispetto dei loro territori ancestrali, che il governo stava vendendo alle imprese transnazionali.


Il risultato fu di circa 50 indigeni assassinati, una decina di scomparsi e centinaia di feriti da proiettili vaganti. Nello scontro morirono 11 poliziotti, trafitti da lance che i nativi utilizzarono per difendersi. Questo bagno di sangue fu un genocidio etnico e il suo obiettivo fu aprire il cammino per continuare a consegnare l’amazzonia nelle mani delle grande compagnie petrolifere e minerarie internazionali. A questa violenta repressione presero parte 600 poliziotti e più di 200 soldati dell’esercito, appoggiati da elicotteri d’assalto e carri armati. Giorni dopo questa carneficina, Alan García Pérez, con il suo consueto cinismo, parlò pubblicamente per giustificare il massacro e dichiarare minacciosamente che il governo non avrebbe accettato il ricatto di un gruppo di peruviani.


Per questo crimine nessuna persona fu accusata, né sanzionata. Fino ad oggi non si sa nulla dei nativi spariti e nessun rappresentante del governo né della polizia o dell’esercito è stato accusato per l’assassinio dei circa 50 indigeni. Per coprire questo massacro fu applicato il metodo di sempre e i partiti di “opposizione” presentarono una proposta per “formare una commissione d’indagine su questo fatto di repressione”.
Ora sarà la stessa cosa e ancora una volta, “l’opposizione, soprattutto adesso che è in campagna elettorale, esigerà una “commissione d’inchiesta” e l’epilogo sarà quello di sempre. Nessuno nel governo è colpevole e le vittime rimarranno per sempre nel dimenticatoio”.


Luis Arce Norja

Traduzione Gaia Pagano

lunedì 12 aprile 2010

Noi stiamo con Emergency.



Firmare e diffondere l'appello.

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.



Emergency è indipendente e neutrale.
Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

IO STO CON EMERGENCY

Firma l'appello
Tra gli altri hanno aderito
Il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah
Photogallery del Centro
Testimonianze
Entra nel sito di Emergency


On Saturday, April 10, soldiers of the Afghan army and the International Coalition Forces attacked the Emergency Surgical Centre of Lashkar-gah and arrested members of the national and international staff. Three of them are Italian citizens: Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

EMERGENCY is an independent and neutral organisation. Since 1999, EMERGENCY in Afghanistan has provided medical assistance free-of-charge to over 2,500,000 Afghan citizens, by establishing three surgical hospitals, a maternity centre and a network of 28 first aid posts.

I SUPPORT EMERGENCY

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