venerdì 2 marzo 2012

La Valsusa per noi.

Siamo stati in Valle di Susa la prima volta il 2 e il 3 Luglio in seguito allo sgombero violentissimo della Libera Repubblica della Maddalena.
A Chiomonte siamo arrivati in treno da Torino,il che di per sé potrebbe sembrare paradossale.
Siamo stati piú volte in valle per manifestare il nostro dissenso insieme ad altre migliaia di persone alla costruzione del TAV Torino-Lyon e a ció che esso rappresenta; la costruzione di un tunnel di 52 chilometri attraverso montagne contenenti uranio e amianto che potrebbero contaminare le falde acquifere, l'esproprio di terreni privati, la cementificazione di un territorio e lo spreco di denaro pubblico.
A Chiomonte siam stati accolti come figli e, pur informandoci da anni a proposito del tema, crediamo che nessuno possa capire la realtá valsusina senza metterci piede, senza incrociare gli sguardi degli abitanti e senza parlare con loro.
Per prima cosa ci mostrarono le condizioni della stazione ferroviaria del paese quasi completamente abbandonata a se stessa; biglietterie automatiche inesistenti, sala d'attesa con finestre e porte rotte, scorrimano delle scale distrutti.
Una stazione fantasma ed emblematica.
Ció che il treno rappresenta per i politici interessati alla costruzione (la maggior parte) é il progresso, l'innarestabile tensione alla modernitá 'senza la quale rimarremmo fuori dall'Europa (cit.)'.
La Valsusa da 22 anni sta lottando non contro uno stupido treno bensí contro il miraggio fasullo e fuorviante che questo incarna in una maschera di metallo e ingranaggi.
Sia chiaro che i valligiani che ho conosciuto non sono barbari primitivi che credono di discendere dai Celti e che vogliono bruciare Roma,no..
I valligiani e i No Tav provenienti da tutta Italia e da mezza Europa é gente sveglia e soprattutto informata, determinata a mettersi in gioco per la difesa di un territorio e di ció che questo rappresenta; un futuro sano per i suoi figli, la resistenza ad uno dei maggiori affari speculativi che l'Italia ricordi da mani pulite.
Dal 27 Giugno il Museo archeologico della Maddalena e l'area contenente tombe risalenti al Neolitico é zona occupata da centinaia di poliziotti e militari.
Gli alpini e i loro Lince sono stati richiamati dall'Afghanistan per presidiare la valle.
La scena che abbiamo sotto gli occhi é il passaggio dei blindati su tombe risalenti a quasi 10.000 anni fa avvenuto il 3 Luglio, scene di assoluta vergogna e ignoranza.
Le immagini impresse sono i fitti lanci (ad altezza d'uomo) di lacrimogeni cs (vietati dalla Convenzione di Ginevra nei contesti bellici perché contenenti cianuro) su una popolazione civile compatta, una popolazione che é uscita dai suoi confini geografici e istituzionali diventando una Comunitá immaginaria in costruzione che rivendica il diritto ed il dovere di disporre della propria terra nella maniera piú sostenibile per il futuro delle proprie genti e di tutti quanti.
In Valsusa esiste un'autostrada che la attraversa nel bel mezzo con un viadotto, una centrale idroelettrica che ha dimezzato la portata dei fiumi Clarea e Dora, affluenti del Po..
In Valle l'alta velocitá giá esiste; i treni dell'alta velocitá partono tutti i giorni da Torino e semivuoti arrivano a Lione.
A causa dei pochi utenti le ferrovie hanno diminuito il numero di treni tav diretti oltralpe.
La classe politica narra l'importanza del Tav Torino-Lyon; un'opera che costerá ai contribuenti 22 miliardi di euro e che sará terminata tra 15 anni se tutto andrá 'bene'.
E per fortuna che stiamo vivendo una delle crisi peggiori da quella di Wall Street pre Roosevelt..
Il Portogallo ha giá bloccato il progetto, dalla Spagna abbiamo poche notizie sui lavori ma per il Belpaese l'opera é una questione di sopravvivenza.
Parte (minima) dei finanziamenti arriverá dall'Unione Europea (ai quali parlamentari é stato proibito l'accesso al cantiere); la maggior parte dei finanziamenti arriverá da dai contribuenti italiani.
Miliardi di euro saranno prestati da differenti banche (tra le quali Banca Intesa San Paolo) al Governo del ministro Passera (azionista Banca Intesa San Paolo) ad altissimi interessi.
Chi ripagherá il debito alle banche saranno i cittadini attraverso le imposte.Come in Grecia tutto torna..
Anziché costruire il Tav (ogni centimetro costerá 1300 euro, lo stipendio di un operaio specializzato) la politica potrebbe riammodernare le ferrovie, potrebbe salvare ospedali in bancarotta, investire sull'istruzione e sulle Universitá, sulla sicurezza sul lavoro ma l'opera va fatta assolutamente,ci viene detto a ripetizione.
Ce lo ripetono da destra a sinistra, dalla Cancellieri a Maroni, da Bersani a Cota, da Fassino a Cesa e Berlusconi.
Perché siamo Notav, pur non essendo amanti delle etichette?
Perché in Valle oggi c'é L'Aquila con i suoi abitanti beffati, c'é Peppino Impastato, che dava delle pecorelle ai mafiosi,che grida contro il malaffare, ci sono anche Falcone e Borsellino che da dove sono ora annusano gli interessi bipartisan sugli appalti.
In Valle ci sono ambientalisti, ex leghisti pentiti, professori universitari, contadini e operai, studenti, gente comune.
In Valle c'é un'Italia che si sta risvegliando, a cui non interessa spendere 22 milliardi per arrivare a Lione con 40 minuti di anticipi anche perché a lione forse non ci andrá mai e se ci andrá ci andrá in aereo dati i prezzi piú convenienti.
Chi é mal informato dirá che il Tav sará necessario per diminuire il traffico su gomma ma studi internazionali dicono che il traffico di merci tra Italia e Francia e tra Est e Ovest d'Europa é in netto e costante calo.
L'attuale linea ferroviaria é sottoutilizzata al 40% ad essere ottimisti.
Ora che il movimento Notav sta allargandosi in tutta Italia e in Europa, grazie alla circolazione di informazioni e al risveglio di molte coscienze, ecco che giornali e telegiornali occupati dai vari partiti parlano di infiltrazioni di 'antagonisti' e cerca di dividere il movimento tra buoni e cattivi.
La risposta della valle alle accuse é stata chiara venendo da una comunitá (nel senso di Baumann)compatta che resiste ad un attacco militare, alla disinformazione mainstream, alle mistificazioni e alle violenze:
Non etichette o maschere..tra di noi ci sono volti e persone determinate a difendersi da soprusi e umiliazioni.
La politica fa appelli al dialogo militarizzando (dal 1 Gennaio 2012) terreni privati, vigneti, recintando con filo spinato israeliano proibito (lo stesso che c'é a Gaza e sul muro in Cisgiordania) i campi e i vigneti dei contadini e l'area archeologica.
La veritá é che, smascherata la malapolitica con la forza della ragione e dei dati, a quest'ultima non resta che utilizzare il manganello e la propaganda contro una comunitá allargata, eterogenea e resistente.
Il movimento risponde a livello nazionale e internazionale; da Palermo a Bologna, da Trieste a Genova fino ad arrivare a Lione, Stoccarda, nei Paesi Baschi e a Barcellona.
Non si sta lottando per difendere un piccolo giardino se non l'idea che un altro mondo oltre che possibile e necessario; un mondo sostenibile, partecipato e condiviso, informato.
Per un futuro dove al centro non ci sia l'ideologia di un progresso lineare e accumulativo,gli interessi di poche lobbies e l'eterna competizione tra individui bensí i beni comuni e la loro tutela, la collaborazione.
La Valle non ha paura; la valle fa paura perché non é un non-luogo alla Marc Augé ma un laboratorio sociale dove tutti contano ugualmente, dove le scelte sono condivise e il territorio salvaguardato.
Per questo é un po' dappertutto ed é vittima delle peggiori violenze da anni a questa parte e nonostante tutto non si é fermata e non si fermerá.
La violenza puó poco contro le idee.
La Valle per me rappresenta un'Italia che s'é desta, un'Italia che durante i suoi presidi, cortei, campeggi o feste fa la raccolta differenziata, fa assemblee popolari nelle quali le decisioni se non all'unanimitá vengono prese a larghissima maggioranza e dove chiunque ha diritto di intervenire e di agire, le stesse minoranze.
Un'Italia che anziché asfaltare e abbattere alberi li semina.
Un'Italia che chiede finanziamenti per la sclerosi multipla e la tutela dei lavoratori licenziati in nome della dislocazione liberista, quali quelli della Fiat di Torino o i licenziati dei treni notte.
Un'Italia dove la velocitá sia la stessa per tutti, nella quale nessuno rimanga indietro o sia abbandonato (L'Aquila insegna..)
Un'Italia che chiede di essere ascoltata attraverso l'appello a Monti di 360 docenti universitari e specialisti,rimasti inascoltati.
L'Italia di giudici quali il dott.Imposimato (inascoltato pure lui), di non violenti quali Luca Abbá disposto a rischiare la propria vita pur di dar voce ad una comunitá ignorata e umiliata.
La Valsusa non é una questione di ordine pubblico ma é la voce dei popoli di tutto il mondo che lottano per la loro dignitá, siano i paesi della primavera araba, i mapuche della Patagonia o i nativi dell'Amazzonia.
La Natura per tutti noi é la madre e non la serva; é colei dalla quale veniamo e alla quale torneremo, non una risorsa da spremere fino al midollo in nome di un fittizio progresso, per pochi.
Come Notav ci sentiamo accomunati non per l'essere cittadini, antagonisti, ribelli o chichessia ma come fratelli.
E, piuttosto che vendere o vedere violentata nostra madre, siamo pronti a mettere di traverso i nostri corpi dinanzi a ruspe, blindati, idranti, gas illegali, manganelli, fogli di via o qualsiasi altra cosa.
Per questo siamo diventati un problema d'ordine pubblico , un ostacolo ad un'idea barbara di progresso e modernitá che un treno ben incarna.
Fu cosí anche per la Union Pacific Railroad con i Cheyenne delle pianure durante il 1800, ma questa é un'altra storia che terminò in genocidio e saccheggio.
Speriamo che la storia non si ripeta e siamo determinati a far sì che ciò non avvenga.
Sarà dùra..

martedì 28 febbraio 2012

domenica 16 ottobre 2011

Roma, 15 Ottobre 2011.



In queste ore, a caldo, si sta parlando molto di ciò è successo ieri a Roma.
Si sprecano giudizi e valutazioni semplici, superficiali e approssimative senza analizzare le modalità di arrivo, di composizione e di organizzazione del corteo di ieri.
Il 15 Ottobre è stata la giornata degli indignados in tutto il mondo.
Il movimento è composto da anime differenti che si ritrovano in pochi ma precisi punti e principi: La delegittimazione della classe politica al governo e all'opposizione (anche Sel); l'idea e il sentore di non essere rappresentati da nessuno (nemmeno dalla Cgil); la convinzione che ciò che sta togliendo la speranza e la fiducia nel futuro a due intere generazioni trovi le sue radici nel capitalismo e nelle lobbies finanziarie, nelle grandi opere, nelle politiche di austerity, nei tagli allo stato sociale, nelle privatizzazioni ordinate da un sistema economico e finanziario centralizzato e nelle mani di poche istituzioni inaccessibili e anonime quali il Fondo Monetario Internazionale, le banche centrali e le democrazie rappresentative (quelle del porcellum, dei Berlusconi, dei Tremonti e Bersani, dei Draghi e dei D'Alema).
Il 15 Ottobre doveva essere una giornata di indignazione e di rabbia.
E, non nelle modalità sperate e migliori, lo è stata.
Eravamo a Roma.
Siamo partiti dalla Stazione Termini che il corteo era già iniziato e la gente doveva ancora arrivare da molte parti d'Italia.
Eravamo nella zona dello spezzone precario vicino ai collettivi dei NO PONTE, dei NO TAV e degli aquilani.
La moltitudine di gente era evidente ma non calcolabile e moltissime persone, tra cui gli studenti, ancora dovevano partire da Piazza delle Repubblica.
Era un insieme meticcio di tante anime indignate e soprattutto arrabbiate.
Molti di noi, visti i precedenti (la Valsusa, Terzigno e Chiaiano tra i tanti) erano dotati di mascherine antigas da tre euro o poco più; qualcuno aveva foulard e occhialetti per proteggersi dall'eventualità di un lancio di lacrimogeni CS vietati dalla Convenzione di Ginevra ma in dotazione alla celere nostrana.
C'era determinazione e rabbia ma non c'erano caschi neri, non c'erano spranghe di ferro e martelli.
Eravamo determinati e variegati.
Nella preparazione del corteo non si era raggiunta l'idea di un'azione e di una modalità comune e condivisa.
L'obiettivo, a livello mondiale, era circondare i centri del potere ma tutte le aree erano zone rosse, off limits.
C'era nell'aria la necessità di fare qualcosa di simbolico e credo e sono convinto che probabilmente a fine corteo qualcosa si sarebbe deciso, qualcosa di intelligente e ugualmente radicale e concreto.
Non c'è stata la possibilità.
La prima scintilla è stata innescata in Via Cavour.
Dietro di noi, all'altezza dello spezzone dei Cobas, sentiamo esplodere qualche bomba carta e vediamo una macchina prendere fuoco, una fiamma altissima e del fumo nero intenso dividono di fatto in due il corteo che lì si blocca.
Continuiamo il percorso ed arriviamo al Colosseo; qui ai fori imperiali vediamo il primo blocco della polizia. Camionette messe di traverso come usano fare nelle grandi manifestazioni da poco più di un anno a questa parte.
Nessuno tenta di forzare il blocco ma tra la folla si vedono alcuni individui tutti vestiti di nero, tanti da sembrare una sorta di commando per la loro uniformità.
Non erano autonomi o antagonisti, non erano disobbedienti o anarchici e nemmeno 'semplici' cani sciolti.
Erano una cinquantina di persone, poi aumentate a poco meno di un paio di centinaia.
Si infilano nel corteo compatti e avanzano.
Tutti a volto completamente coperto, l'uno estremamente uguale all'altro. L'età media sembra bassa.
Stanno alle nostre spalle e chiudono la prima parte del corteo diviso.
In via Labicana il gruppetto comincia ad accanirsi contro una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, contro una filiale della Banca del Lazio ed un distaccamento del Comune.
Bombe carta e torce da stadio bruciano anche un paio di macchine di fronte alla caserma.
Il corteo non partecipa all'assalto e avanza verso via Emanuele Filiberto.
Pochi metri e alle nostre spalle la massa comincia a correre velocemente.
Si sentono esplosioni di bombe carta e c'è un fronteggiamento tra la celere e il gruppetto di 'neri' in fondo al corteo.
Collettivi e antagonisti col furgone di San Precario avanzano per la via in direzione di Piazza San Giovanni, destinazione (teoricamente conclusiva) del corteo.
In coda si vedono i fumi dei lacrimogeni il cui odore acre e l'effetto lacrimante comincia a sentirsi anche tra la gente pacifica che sta arrivando in Piazza S.Giovanni.
Arriviamo in quest'ultima insieme a tantissima altra gente; c'è chi si siede ai piedi della statua,chi prepara gli stand, chi ragiona a come continuare e chi si siede per terra a mangiare un panino.
Tempo brevissimo e dalla via sbuca un camion idrante che bagna la folla con acqua urticante. Le camionette della finanza sfrecciano facendo caroselli mirando alla gente inerme e lanciando lacrimogeni.
C'è il fuggi fuggi generale e riprende vita lo spettro di Genova 2001.
La maggior parte del corteo scappa per le vie laterali o al di là degli archi della piazza dove il traffico romano di macchine e motorini è intenso.

E qui le cose cambiano e alcuni distinguo sono doverosi.
La gente che in seguito ha difeso la piazza, molti di loro e noi come movimento, non appartiene affatto al gruppetto che ha sfogato le proprie frustrazioni contro qualche filiale di banca o qualche macchina parcheggiata.
Certe modalità sono vecchie, superate e inutili.
Bruciare e fare danni per qualche millione di euro a qualche multinazionale o filiale di banca non può che far ridere di gusto l'1% per cento della popolazione che ha creato alla res publica un debito di quasi 1900 miliardi di euro.
Distruggere con queste modalità non ha senso; la vera distruzione di questo modello economico-politico-sociale è e sarà bloccare l'economia, riprendersi le piazze e da lì ripartire.
Ieri 150/200 persone hanno dato il La al solito teatrino delle manifestazioni oceaniche. Qualche scontro e butta il mostro in prima pagina ma soprattutto DIVIDI ET IMPERA.
Oggi le notizie tendono a dividere tra buoni e cattivi.
Non bisogna cadere in questa trappola.
In un movimento autorganizzatosi come forse solo a Genova è avvenuto, autoconvocatosi attraverso internet e per mezzo di reti antagoniste, controinformative e social network è naturale che facciano parte differenti realtà e pratiche d'azione.
E' normale, non giusto, che (in un'epoca come quella contemporanea dove due generazioni si sentono perse e senza futuro vivendo in un presente pregno di precarietà costante)
dei giovani senza capi, degli imbastarditi e senza futuro, spesso giovani e giovanissimi, non trovino sbocchi se non nel nichilismo distruttivo che di anarchico ha ben poco.
Forse non è normale ma è conseguenziale ad un'esistenza marginale e a sua volta anormale che qualche vittima (vittima anche della sua superficialità) dia fuoco ad una camera d'albergo che per una notte costa quanto il salario mensile di un operaio di Pomigliano ora in cassa integrazione.
Queste vittime colpevoli non si vedono rappresentate da nessuna realtà di movimento e agiscono di testa loro in piccoli gruppetti affiancati molto probabilmente da agenti provocatori e infiltrati e perchè no da qualche neofascistello di Casapound o di Militia al soldo dell'interesse della casta,dei governanti e dei giornalisti politicanti di turno.
E' ovvio che ciò che è successo ieri fa solamente il gioco di chi non voleva che il corteo avanzasse compatto. Di chi può solo avere timore di un'autorganizzazione enorme e precaria come quella di ieri, precaria come le nostre vite.
La polizia ha caricato in Piazza San Giovanni, simbolo che poteva essere occupato ad oltranza e che poteva diventare laboratorio popolare come il Teatro Valle occupato o i campeggi estivi e resistenti della Val di Susa.
Piazza che poteva essere oggi un auditorium popolare come Piazza Tahrir in Egitto o la Puerta del Sol a Madrid.
Piazza che poteva fare veramente paura ai burattinai della crisi che non vogliamo e non intendiamo pagare.
Credo che molti in quella piazza abbiano all'attacco della polizia e della finanza perchè attaccati, al contrario dei duecento 'caschi neri' che in precedenza hanno avuto modo di agire indisturbati.
Non è nel DNA dell'antagonismo prendersi a mazzate tra manifestanti come non lo deve essere sentirsi colpevoli di una resistenza di piazza in seguito ad una 'gestione dell'ordine pubblico' vergognosa dove il leit motiv è stato il solito metodo Cossiga; lascia fare, colpisci nel mucchio e attendi la reazione.
Dietro quei caschi neri c'era una minestra bastarda di facinorosi per necessità e per moda, di fascistelli travisati (Casa Pound e Piazza Navona docet) insieme a sbirri infiltrati.
Era prevedibile.


Restiamo umani e restiamo uniti perchè solo uniti e con differenti e imprevedibili metodi d'azione possiamo cambiare le cose; la strada è lunga e il cambiamento e necessario.
Se non sarà così si rischia di vedere in un futuro prossimo scene come quelle di ieri, ma amplificate enormemente.
Occorre unità nella diversità dell'antagonismo; occorrono intelligenza e confronto. Concretezza, radicalità e responsabilità.
Altrimenti siamo destinati a perdere.
E non parliamo di violenza o non violenza per dividere tra buoni e cattivi perchè la violenza è relativa e differenziata.
Bruciare la filiale di una banca (per quanto sciocco, prevedibile e inutile che sia) è quasi dolce confronto alla violenza distruttrice dell'esistenza attuata dagli artefici dell' austerity; dalla violenza esistente nella falsità dei mass media e delle condanne bipartisan.
Bruciare un hotel di lusso o una caserma della finanza in disuso è niente confronto alla violenza del licenziamento collettivo e all'omicidio dei nostri futuri.
Picchiare gente attaccandola organizzati in commandos perchè la pensa in maniera differente è invece violento quanto le cariche degli sbirri e quanto questo sistama marcio che sta mettendo la moltitudine con le spalle al muro.
E con le spalle al muro il senso di sopravvivenza può spingere ad atteggiamenti istintivi e irrazionali.
Vero politici, banchieri, mafiosi e affaristi?
Ragioniamo e agiamo radicalmente uscendo dal loro teatrino.

martedì 26 luglio 2011

Dalla Valle che rEsiste.



Siamo stati in Val di Susa tra il 2 e il 3 Luglio e ci siamo tornati in questi giorni passando da Genova per la commemorazione del decennale dell'assassinio di Carlo Giuliani.
Abbiamo conosciuto persone fantastiche, degne, genuine,sanamente orgogliose e determinate e nei loro occhi abbiamo rivisto le stesse espressioni e la stessa rabbia e forza dei compagni di Bagua e Andoas massacrati e imprigionati perchè colpevoli di volere difendere il loro territorio, la madre terra e l'Amazzonia, dai soprusi delle multinazionali dei minerali e del petrolio.
Abbiamo rivisto nelle donne della Valle i volti di Cecilia, la ribelle.
Siamo arrivati a Chiomonte la sera del 2 Luglio e abbiamo dormito al presidio nei pressi della centrale elettrica de la Maddalena.
Ci hanno accolto come figli e siamo stati subito avvolti da un affetto e da un'energia unica.
La Valle ci ha accolto come una fiera madre.
Faceva freddo la notte di Sabato 2 Luglio e il gelido vento alpino ci ha negato il sonno.
Abbiamo trascorso la notte riparandoci come potevamo, con i giacconi e le coperte regalateci da due signore del posto.
A duecento metri da noi via dell'Avanà era presidiata da un numero mai visto di forze dell'ordine, da sbarramenti e barricate della polizia.
L'arrivo in valle fa tornare la mente ai territori occupati della Cisgiordania in Palestina.
Check point circondano il cantiere che cantiere non è. I lavoratori dell'Ital.co.ge e della Martina, le imprese che hanno vinto gli appalti, le uniche cose che hanno costruito sono state le recinzioni per difendere il niente, alte recinzioni di metallo, cemento e filo spinato.
Più di duemila tra carabinieri, poliziotti e finanzieri occupano militarmente le vigne dei contadini, il museo archeologico e l'area della necropoli con le sue tombe risalenti al tardo Neolitico (10000 a.C).
Per le montagne ci sono i cacciatori di Sardegna e dell'Aspromonte, corpi speciali dei carabinieri, fino a ieri a caccia di latitanti mafiosi camorristi ed ora al loro servizio per fermare l'orda barbara che non vuole il progresso.
All'interno del cantiere che non c'è hanno montato persino un radar per intercettare eventuali terroristi in procinto di sabotare le reti del fortino.
Durante la notte, in attesa della mattinata e della manifestazione di assedio, attivisti d'ogni età preparano bottigliette di acqua e Maalox e bende per proteggersi dai gas lacrimogeni.
Il lunedì precedente infatti la Libera Repubblica della Maddalena era stata sgomberata dalle ruspe dell'Italcoge e da un contingente di 2000 militari.
Le barricate costruite con balle di fieno e il cancello di protezione sono stati sradicati da una grande ruspa con un enorme braccio metallico a tenaglia.
Il migliaio di persone che l'alba del 27 Giugno era al presidio de La Maddalena (regolarmente affittato dal Comune) è stato costretto a fuggire per i sentieri dopo essere stato sgomberato da centinaia di lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo; parliamo di gas Cs, possono essere sparati con fucili o possono essere lanciati a mano come granate.
Sono considerate armi di terza categoria dalla Convenzione di Ginevra, armi chimiche perchè contententi cianuro e di conseguenza vietate in ogni contesto bellico. Ma utilizzate contro i civili.
Ne hanno lanciati un migliaio durante lo sgombero e più di duemila il giorno dell'assedio.
Bossoli da 250 grammi sparati ad altezza d'uomo da fucili se colpiscono in testa fanno male; i gas dei cs possono avere effetti mortali, carcerogeni e addirittura mutogeni, l'acqua urticante sparata dagli idranti della polizia fa venire sfoghi pesanti sulla pelle.
Ecco allora che la gente si organizza per una resistenza di lungo termine e indossa caschi e maschere antigas, guanti da cantiere e occhiali da sub o da saldatore.
E' una questione di autodifesa, di sopravvivenza e di resistenza passiva.
Se questo significa essere Black Block il 3 Luglio eravamo 60000/ 70000 black block di ogni età e provenienza. E saremo sempre di più.
Il 3 Luglio alle 9 del mattino siamo già alla centrale elettrica a 150 metri dalle barricate militari.
Elicotteri sorvolano la zona.
Dalla statale arriva a metà mattinata la testa del corteo degli amministratori della valle; è una coda interminabile di persone di ogni età.
Passano i sindaci contrari alla Tav; dietro di loro famiglie e bambini, anarchici della FAI, ragazzi dei centri sociali, i cattolici della Valle, vecchi partigiani dell'Anpi, gente aderente al Movimento 5 stelle, contadini e operai di Mirafiori e della Innse, sindacalisti della Fiom, gente del WWF e di Legambiente, anziani alpini e ambientalisti.
E' un corteo enorme, determinato, arrabbiato ma allegro ed estremamente eterogeneo e unito.
Siamo talmente tanti che qualche migliaio di persone prende la strada per Ramats e si inoltra per i sentieri per arrivare al fortino dal bosco.
Altre migliaia di persone partono da Giaglione per arrivare ad assediare il cantiere all'area archeologica.
Per lo più è gente della Valle.
I sentieri sono impervi e sono da conoscere.
Dalla centrale elettrica vediamo una pioggia di lacrimogeni piovere nei boschi.
Gli animi si scaldano, arrivano notizie di feriti anche gravi; un anziano di 70 anni è stato colpito all'arteria femorale da un lacrimogeno sparato 'basso', un altro ragazzo è stato colpito alla testa.
L'elicottero continua sorvolare basso la zona.
Dal lato di Giaglione vengono sparati dei fuochi d'artificio. E' il segnale che la baita di Clarea e la zona del vecchio presidio sgomberato il lunedì passato è stato ripreso.
Alla centrale la gente si accalca al cancello, al primo sbarramento di via dell'Avanà (quello che proibisce ai contadini della zona di arrivare alle loro vigne).
Appena ci avviciniamo parte una sparatoria fittissima di lacrimogeni.
L'odore è acre. I gas non fanno lacrimare troppo come quelli soliti ma prendono allo stomaco e lasciano senza fiato, fanno vomitare la bile talmente tanto che sembra di morire. Si indossano i guanti e si rispediscono i candelotti al mittente. Volano anche pietre. A fine giornata i giornali parleranno di centinaia di poliziotti e carabinieri feriti, il 99% arriverà agli ospedali in codice verde e giallo. La maggioranza di loro risulta intossicata dai gas cs, i loro.
Il ponte della Dora è pieno di gente così come la statale che porta a Ramats e quella che porta a Chiomonte.
Donne, anziani, giovani e meno giovani, bambini battono pietre e bastoni contro i guardrails determinando quello che sarà il ritmo per tutta la giornata; un'assordante rito tribale, primitivo che fa sentire i ragazzi e le ragazze in prima fila non soli ma appoggiati da migliaia di persone. Un rito antico udibile a chilometri di distanza.
E' un rito spontaneo ed emozionante, da pelle d'oca.
E' il grido di una valle che non vuole essere violentata da un progetto vecchio di 22 anni che ci vogliono spacciare per progresso.
Si legano delle funi alle cancellate e si tira tutti insieme come un esercito di formiche operaie all'attacco di una fortezza.
E intanto i lacrimogeni Cs e quelli a grappolo vengono sparati dappertutto, verso il presidio dove ci sono famiglie e anziani; verso le tende dei medici volontari del pronto soccorso; verso la statale e per i boschi.
Non si vede nulla, si soffoca.
Ma cade la prima barricata, nessun muro è eterno e indistruttibile.
E' un'azione simbolica.
Se vogliono bucare una montagna per 52 km devono sapere che non lo faranno mai tranquillamente.
I lavori dovrebbero durare fino al 2035 per un costo complessivo di 17 miliardi (a prestito, le banche ringraziano) di euro di cui 600 milioni finanziati (forse) dall'Unione Europea e da spartire tra Francia e Italia.
La valle è lunga circa una settantina di chilometri; molti abitanti hanno pozzi in giardino, basta scavare qualche metro per trovare sorgenti d'acqua.
Il monte de la Maddalena chi si vorrebbe traforare è colmo di amianto e uranio; scavando un tunnel per 52 km sarà impossibile non distruggere le falde acquifere.
Per quasi 5 ore le azioni di sabotaggio sono contrastate da una repressione simile solo a quella del G8 di dieci anni fa. I feriti vengono portati in braccio e soccorsi dai medici volontari
Ma la gente resiste e non ha paura.
E' emozionante e a tratti commovente vedere il mutuo soccorso tra anime diverse ma così unite.
E' incredibilmente umano vedere uomini e donne di ogni età darsi il cambio tra le prime fila.

Chi non può più stare davanti, per età o per condizioni, continua a battere sui guardrails con i bastoni, porta acqua e maalox agli intossicati, distribuisce garze e limoni, urla e si indegna.
Lotta.
Non c'è paura, nonostante tutto, e non si arretra se non nel tardo pomeriggio dopo che le forze dell'ordine lanciano centinaia di lacrimogeni sul ponte della Dora e sulla statale, in mezzo a donne e bambini. L'aria e irrespirabile, i camosci scappano per i boschi.
Verso sera si raggiunge un accordo, una tregua. Si ferma l'assedio in cambio di un salvacondotto per i resistenti nei boschi e alla centrale.
Non è una sconfitta ma una grande prova di determinazione e di coraggio. Si tratta di resistere per esistere. Resistere all'arroganza, alle grandi opere mafiose bipartisan (gli appalti per la galleria che dovrebbe passare sotto Sant' Antonio e Ramats sono stati spartiti dalla Rocksoil della moglie di Lunardi, ex ministro dei trasporti, e dalla cooperativa CMC di Ravenna il cui presidente qualche anno fa era Bersani e che già ha vinto gli appalti per l'ampliamento dell'aereoporto militare di Vicenza Dal Molin); resistere al malgoverno e al malaffare dell'alta finanza.
La risposta della Valle è una risposta nazionale.
Si agisce localmente pensando globalmente.
Sarà dura fermare il movimento No Tav; non lo si potrà fermare nè con le minacce, nè con la repressione bipartisan, nè con gli arresti e nemmeno con le torture e le intimidazioni personali(vero Ghiggia,pdl? vero disonorevole Esposito,pd?).
Durante la repressione del 3 Luglio le forze dell'ordine in difesa del 'progresso' hanno intossicato le persone e i terreni, hanno usato armi illegali, hanno torturato e hanno distrutto e profanato coi cingolati le tombe dell'area archeologica della Maddalena e nonostante tutto giornali e televisioni (finanziati dai partiti) parlano di fantomatici black block, di eversivi e violenti con il preciso obiettivo di disinformare e di dividere le anime del movimento.
Il governo ha mandato gli alpini del terzo battaglione Susa con i mezzi lince e i blindati.
Centocinquanta alpini indegni di indossare la penna appena tornati dall'Afghanistan.
Truppe di occupazione.
Al campeggio di Chiomonte si leggeva chiaro uno striscione: nemmeno tremila carrarmati potranno sgomberare le nostre idee.
Non solo sarà dura ma sarà impossibile.
L'abbiamo visto a Genova aprendo il corteo che ricorda a distanza di dieci anni che un altro mondo non solo è possibile ma è necessario.
Dopo dieci anni siamo ancora qui, più uniti di ieri.
Ce lo ha ricordato Heidi Giuliani domenica scorsa al campeggio ricordando non solo Carlo ma anche gli anarchici Sole e Baleno, morti nelle carceri 15 anni fa.
La Val di Susa è legata a Bagua, alle lotte per la Madre Terra, alle lotte cilene e Mapuche contro il progetto idroelettrico Hydraysen, alle resistenze del delta del Niger e alla vicenda dei territori occupati della West Bank, alla lotta dei pastori sardi..
Siamo uomini e donne, alpini in congedo, anarchici e libertari, contadini e vecchi partigiani, Donne degne, ragazzi dei centri sociali, ambientalisti e altermondialisti, cattolici, laici ed agnostici, bambini più uomini di alcuni mezzuomini e streghe della valle, operai, precari e disoccupati, cittadini.
Siamo vivi e uniti siamo il futuro.
Non solo i ribelli della montagna.
A sarà dura ma resteremo umani e lotteremo,
a prestissimo amata Val di Susa.

sabato 30 aprile 2011

Resteremo umani.


Caro Vittorio,
ci mancherà la tua determinazione,
ci mancheranno i tuoi racconti sinceri e passionali delle vite dei giovani e dei pescatori di Gaza.
Ci mancheranno le tue testimonianze che hanno illuminato il black out delle nostre coscienze.
Domenica scorsa eravamo tanti a Bulciago, c'erano i tuoi fratelli di Gaza e amici provenienti da mezzo mondo.
E per fortuna non c'erano le istituzioni Vik perchè non meritavano di esserci.
La palestra era colma ben prima che iniziasse la cerimonia e fuori la gente che non riusciva ad entrare stava seduta sui prati immersa nei suoi pensieri e nei vuoti che tu sei riuscito a riempire con prove d'umanità che ci han fatto sentire meno soli in questi anni.
C'era il sole Vik e le bandiere palestinesi sventolavano insieme a quelle della Freedom Flottilla e a quella della pace (quella vera).
Non so quanti eravamo ma c'era la più bella Italia a darti l'arrivederci e si sentiva un'energia fortissima, di quelle che ti fanno vibrare dentro e ti fanno brillare gli occhi.
Un'energia che in Amazzonia ho sentito in quelle giornate di Giugno di due anni fa quando la piazza di Iquitos in Perù era colma di indigeni Awajun, Quechua, Quichwa che dopo decenni e secoli di soprusi si sono sollevati pacificamente per rivendicare i loro diritti ancestrali e quelli della Pachamama saccheggiata dalle multinazionali petrolifere e dalle politiche neoliberiste del governo peruviano.
Eravamo stretti gli uni agli altri e gli occhi della gente presente non riuscivano a contenere le lacrime di rabbia e commozione.
Non sei un eroe Vik; sei la coerenza, la costanza e la determinazione che a troppi di noi è mancata.
Sei riuscito a farci sentire sotto quelle bombe, ci hai fatto indignare e piangere; a volte ci hai fatto vergognare di noi stessi e della nostra passività e nel fare tutto ciò sei restato umano.
E di fronte ai continui soprusi, alle continue menzogne che fanno apparire questo mondo e soprattutto questo paese quanto mai orwelliano, restare umani è la cosa più difficile da fare.
Con la tua sensibilità sei riuscito a rompere l'assedio Vik, a creare una catena di empatia che nessun muro ha mai potuto e potrà mai contenere.
Per questo ti hanno ucciso colpendoci tutti.
L'empatia, la solidarietà e la sensibilità sono le caratteristiche di ogni vero rivoluzionario, la più grande minaccia per ogni regime che ha le sue basi sull'odio e l'ignoranza. Siano l'Italia o Israele.
Sono certo che dal seme del tuo sacrificio nasceranno foreste di resistenza e di fratellanza che poco a poco oscureranno le praterie d'asfalto che hanno affossato le nostre coscienze e la nostra cultura.
Vivi Vik.
La tua scelta di vita e la tua apparente fine lega la striscia di Gaza a El Salvador del cardinal Romero, al Brasile e alle popolazioni indigene amazzoniche di Chico Mendes, al Perù delle vittime di Bagua, alla Nigeria di Ken Saro Wiwa, ai resistenti dell'Honduras, a tutte le lotte indigene del mondo..

Intanto Al Fatah e Hamas stanno calendarizzando una difficile riconciliazione (ed è anche merito tuo) e il valico di Rafah è stato riaperto.


Vivi Vik, Internazionalista.
Cercheremo di restare umani.

venerdì 15 aprile 2011

Vota SI per dire NO!



Domenica 12 e lunedì 13 giugno gli italiani saranno chiamati, sotto voce , a votare.
Al contrario di altri precedenti in questa occasione i cittadini non saranno invitati al voto tramite bombardameti mediatici, questa "anomalia" è di facile spiegazione:
Il referendum passa solo se viene raggiunto il quorum, i politici che ci governano (uno in particolare) non hanno nessun interesse nello spingere le masse al voto!
I quattro quesiti che verrano proposti riguardano:
- La privatizzazione dell'acqua con i primi due (si vota SI se non si è d'accordo, si vota NO se si è favoreli);
- La produzione di energia nucleare (si vota SI se non si è d'accordo, si vota NO se si è favoreli);
- Eliminazione del legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri (si vota SI se non si è d'accordo, si vota NO se si è favoreli).
Perchè il referendum passi è necessario che almeno 25 milioni di persone vadano a votare SI, quindi domenica 12 e lunedì 13 vai a votare SI e convinci i tuoi conoscenti a fare lo stesso.

venerdì 4 febbraio 2011

Gli ultimi guardiani dell'Amazzonia.

Pubblichiamo di seguito il video girato da alcuni reporter della BBC grazie all'accompagnamento e alla disponibilità dell'antropologo brasiliano Josè Carlos Meirelles che da ventanni segue e monitora la condizione delle popolazioni native dell'Amazzonia sempre più a rischio a causa del disboscamento, del neoliberismo e degli interessi economici delle grandi multinazionali.
L'isolamento di queste popolazioni è ossigeno e speranza per l'umanità.


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