domenica 16 ottobre 2011

Roma, 15 Ottobre 2011.



In queste ore, a caldo, si sta parlando molto di ciò è successo ieri a Roma.
Si sprecano giudizi e valutazioni semplici, superficiali e approssimative senza analizzare le modalità di arrivo, di composizione e di organizzazione del corteo di ieri.
Il 15 Ottobre è stata la giornata degli indignados in tutto il mondo.
Il movimento è composto da anime differenti che si ritrovano in pochi ma precisi punti e principi: La delegittimazione della classe politica al governo e all'opposizione (anche Sel); l'idea e il sentore di non essere rappresentati da nessuno (nemmeno dalla Cgil); la convinzione che ciò che sta togliendo la speranza e la fiducia nel futuro a due intere generazioni trovi le sue radici nel capitalismo e nelle lobbies finanziarie, nelle grandi opere, nelle politiche di austerity, nei tagli allo stato sociale, nelle privatizzazioni ordinate da un sistema economico e finanziario centralizzato e nelle mani di poche istituzioni inaccessibili e anonime quali il Fondo Monetario Internazionale, le banche centrali e le democrazie rappresentative (quelle del porcellum, dei Berlusconi, dei Tremonti e Bersani, dei Draghi e dei D'Alema).
Il 15 Ottobre doveva essere una giornata di indignazione e di rabbia.
E, non nelle modalità sperate e migliori, lo è stata.
Eravamo a Roma.
Siamo partiti dalla Stazione Termini che il corteo era già iniziato e la gente doveva ancora arrivare da molte parti d'Italia.
Eravamo nella zona dello spezzone precario vicino ai collettivi dei NO PONTE, dei NO TAV e degli aquilani.
La moltitudine di gente era evidente ma non calcolabile e moltissime persone, tra cui gli studenti, ancora dovevano partire da Piazza delle Repubblica.
Era un insieme meticcio di tante anime indignate e soprattutto arrabbiate.
Molti di noi, visti i precedenti (la Valsusa, Terzigno e Chiaiano tra i tanti) erano dotati di mascherine antigas da tre euro o poco più; qualcuno aveva foulard e occhialetti per proteggersi dall'eventualità di un lancio di lacrimogeni CS vietati dalla Convenzione di Ginevra ma in dotazione alla celere nostrana.
C'era determinazione e rabbia ma non c'erano caschi neri, non c'erano spranghe di ferro e martelli.
Eravamo determinati e variegati.
Nella preparazione del corteo non si era raggiunta l'idea di un'azione e di una modalità comune e condivisa.
L'obiettivo, a livello mondiale, era circondare i centri del potere ma tutte le aree erano zone rosse, off limits.
C'era nell'aria la necessità di fare qualcosa di simbolico e credo e sono convinto che probabilmente a fine corteo qualcosa si sarebbe deciso, qualcosa di intelligente e ugualmente radicale e concreto.
Non c'è stata la possibilità.
La prima scintilla è stata innescata in Via Cavour.
Dietro di noi, all'altezza dello spezzone dei Cobas, sentiamo esplodere qualche bomba carta e vediamo una macchina prendere fuoco, una fiamma altissima e del fumo nero intenso dividono di fatto in due il corteo che lì si blocca.
Continuiamo il percorso ed arriviamo al Colosseo; qui ai fori imperiali vediamo il primo blocco della polizia. Camionette messe di traverso come usano fare nelle grandi manifestazioni da poco più di un anno a questa parte.
Nessuno tenta di forzare il blocco ma tra la folla si vedono alcuni individui tutti vestiti di nero, tanti da sembrare una sorta di commando per la loro uniformità.
Non erano autonomi o antagonisti, non erano disobbedienti o anarchici e nemmeno 'semplici' cani sciolti.
Erano una cinquantina di persone, poi aumentate a poco meno di un paio di centinaia.
Si infilano nel corteo compatti e avanzano.
Tutti a volto completamente coperto, l'uno estremamente uguale all'altro. L'età media sembra bassa.
Stanno alle nostre spalle e chiudono la prima parte del corteo diviso.
In via Labicana il gruppetto comincia ad accanirsi contro una caserma abbandonata della Guardia di Finanza, contro una filiale della Banca del Lazio ed un distaccamento del Comune.
Bombe carta e torce da stadio bruciano anche un paio di macchine di fronte alla caserma.
Il corteo non partecipa all'assalto e avanza verso via Emanuele Filiberto.
Pochi metri e alle nostre spalle la massa comincia a correre velocemente.
Si sentono esplosioni di bombe carta e c'è un fronteggiamento tra la celere e il gruppetto di 'neri' in fondo al corteo.
Collettivi e antagonisti col furgone di San Precario avanzano per la via in direzione di Piazza San Giovanni, destinazione (teoricamente conclusiva) del corteo.
In coda si vedono i fumi dei lacrimogeni il cui odore acre e l'effetto lacrimante comincia a sentirsi anche tra la gente pacifica che sta arrivando in Piazza S.Giovanni.
Arriviamo in quest'ultima insieme a tantissima altra gente; c'è chi si siede ai piedi della statua,chi prepara gli stand, chi ragiona a come continuare e chi si siede per terra a mangiare un panino.
Tempo brevissimo e dalla via sbuca un camion idrante che bagna la folla con acqua urticante. Le camionette della finanza sfrecciano facendo caroselli mirando alla gente inerme e lanciando lacrimogeni.
C'è il fuggi fuggi generale e riprende vita lo spettro di Genova 2001.
La maggior parte del corteo scappa per le vie laterali o al di là degli archi della piazza dove il traffico romano di macchine e motorini è intenso.

E qui le cose cambiano e alcuni distinguo sono doverosi.
La gente che in seguito ha difeso la piazza, molti di loro e noi come movimento, non appartiene affatto al gruppetto che ha sfogato le proprie frustrazioni contro qualche filiale di banca o qualche macchina parcheggiata.
Certe modalità sono vecchie, superate e inutili.
Bruciare e fare danni per qualche millione di euro a qualche multinazionale o filiale di banca non può che far ridere di gusto l'1% per cento della popolazione che ha creato alla res publica un debito di quasi 1900 miliardi di euro.
Distruggere con queste modalità non ha senso; la vera distruzione di questo modello economico-politico-sociale è e sarà bloccare l'economia, riprendersi le piazze e da lì ripartire.
Ieri 150/200 persone hanno dato il La al solito teatrino delle manifestazioni oceaniche. Qualche scontro e butta il mostro in prima pagina ma soprattutto DIVIDI ET IMPERA.
Oggi le notizie tendono a dividere tra buoni e cattivi.
Non bisogna cadere in questa trappola.
In un movimento autorganizzatosi come forse solo a Genova è avvenuto, autoconvocatosi attraverso internet e per mezzo di reti antagoniste, controinformative e social network è naturale che facciano parte differenti realtà e pratiche d'azione.
E' normale, non giusto, che (in un'epoca come quella contemporanea dove due generazioni si sentono perse e senza futuro vivendo in un presente pregno di precarietà costante)
dei giovani senza capi, degli imbastarditi e senza futuro, spesso giovani e giovanissimi, non trovino sbocchi se non nel nichilismo distruttivo che di anarchico ha ben poco.
Forse non è normale ma è conseguenziale ad un'esistenza marginale e a sua volta anormale che qualche vittima (vittima anche della sua superficialità) dia fuoco ad una camera d'albergo che per una notte costa quanto il salario mensile di un operaio di Pomigliano ora in cassa integrazione.
Queste vittime colpevoli non si vedono rappresentate da nessuna realtà di movimento e agiscono di testa loro in piccoli gruppetti affiancati molto probabilmente da agenti provocatori e infiltrati e perchè no da qualche neofascistello di Casapound o di Militia al soldo dell'interesse della casta,dei governanti e dei giornalisti politicanti di turno.
E' ovvio che ciò che è successo ieri fa solamente il gioco di chi non voleva che il corteo avanzasse compatto. Di chi può solo avere timore di un'autorganizzazione enorme e precaria come quella di ieri, precaria come le nostre vite.
La polizia ha caricato in Piazza San Giovanni, simbolo che poteva essere occupato ad oltranza e che poteva diventare laboratorio popolare come il Teatro Valle occupato o i campeggi estivi e resistenti della Val di Susa.
Piazza che poteva essere oggi un auditorium popolare come Piazza Tahrir in Egitto o la Puerta del Sol a Madrid.
Piazza che poteva fare veramente paura ai burattinai della crisi che non vogliamo e non intendiamo pagare.
Credo che molti in quella piazza abbiano all'attacco della polizia e della finanza perchè attaccati, al contrario dei duecento 'caschi neri' che in precedenza hanno avuto modo di agire indisturbati.
Non è nel DNA dell'antagonismo prendersi a mazzate tra manifestanti come non lo deve essere sentirsi colpevoli di una resistenza di piazza in seguito ad una 'gestione dell'ordine pubblico' vergognosa dove il leit motiv è stato il solito metodo Cossiga; lascia fare, colpisci nel mucchio e attendi la reazione.
Dietro quei caschi neri c'era una minestra bastarda di facinorosi per necessità e per moda, di fascistelli travisati (Casa Pound e Piazza Navona docet) insieme a sbirri infiltrati.
Era prevedibile.


Restiamo umani e restiamo uniti perchè solo uniti e con differenti e imprevedibili metodi d'azione possiamo cambiare le cose; la strada è lunga e il cambiamento e necessario.
Se non sarà così si rischia di vedere in un futuro prossimo scene come quelle di ieri, ma amplificate enormemente.
Occorre unità nella diversità dell'antagonismo; occorrono intelligenza e confronto. Concretezza, radicalità e responsabilità.
Altrimenti siamo destinati a perdere.
E non parliamo di violenza o non violenza per dividere tra buoni e cattivi perchè la violenza è relativa e differenziata.
Bruciare la filiale di una banca (per quanto sciocco, prevedibile e inutile che sia) è quasi dolce confronto alla violenza distruttrice dell'esistenza attuata dagli artefici dell' austerity; dalla violenza esistente nella falsità dei mass media e delle condanne bipartisan.
Bruciare un hotel di lusso o una caserma della finanza in disuso è niente confronto alla violenza del licenziamento collettivo e all'omicidio dei nostri futuri.
Picchiare gente attaccandola organizzati in commandos perchè la pensa in maniera differente è invece violento quanto le cariche degli sbirri e quanto questo sistama marcio che sta mettendo la moltitudine con le spalle al muro.
E con le spalle al muro il senso di sopravvivenza può spingere ad atteggiamenti istintivi e irrazionali.
Vero politici, banchieri, mafiosi e affaristi?
Ragioniamo e agiamo radicalmente uscendo dal loro teatrino.

1 commento:

  1. ma lo sai che mi hai fatto venire i brividi? io non ero a Roma, ero in Valle alla Centrale a continuare quella lotta che passo dopo passo, metro dopo metro ci vede oramai da anni protagonisti di una lotta come quella di Davide contro Golia. Abbiamo seguito la manifestazione di Roma con i cellulari e quando siamo tornati a casa abbiamo saputo di tutto quello che era successo. E ora ho letto quello che hai scritto, e che già avevo sospettato fosse avvenuto, ma leggerlo da chi ha vissuto in prima linea la cosa mi da la conferma di cose che presumevo. Quanta sana rabbia ho letto nel tuo articolo, la rabbia sana di un giovane che si sta vedendo togliere il futuro, ma che nonostante tutto ci crede ancora e sa raccontare quello che ha vissuto con la testa e anche con il cuore. Quelli come te sono colombe bianche in mezzo a stormi di neri corvacci, ma voleranno alto perchè non hanno paura del sole.L'articolo che hai scritto è la storia di una giornata che doveva essere l'urlo al mondo e che invece è diventata la giornata dei violenti e tu hai saputo descriverla bene, hai dato il senso della tua rabbia e tua impotenza di fronte a tutto questo. Hai colpito nel segno di una lotta che è diventata per colpa di gentaglia e infiltrati un'altra Genova, un'altra Valle di Susa. Hai saputo spiegare bene e in modo chiaro le motivazioni che avevano dato origine a questa indignazione e in egual misura hai colto la forza messa in piedi dalla sporca "politica" per ridurla a uno scontro e mettere a tacere i veri motivi della manifestazione. Si, Giorgio, mi è piaciuto leggerlo, e anche rileggerlo. E sono sincera. Ti abbraccio forte forte, continua così la tua rabbia è anche la mia, ma se ci diamo la mano andiamo lontano, tante gocce fanno il mare, tante mani unite fanno una catena.........ti aspettiamo in Valle, ti aspetto in Valle...^_^ annamaria-ribelle

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