domenica 21 giugno 2009

11 Junio, Paro Regional!



.Iquitos.

In preparazione del paro generale dell'11Giugno il Comitè de lucha indigena ha lanciato una vigilia culturale dalle 20.00 in Piazza 28 Julio.
L'intento è quello di sensibilizzare la gente, di condividere sprazzi di cultura loretana e di prepararsi per attuare i blocchi stradali dalla mezzanotte.
Noi siamo tra i primi ad arrivare e nell'attesa ci sediamo, scattiamo qualche fotografia e facciamo qualche ripresa .
Lentamente la piazza si riempe e la folla si dispone a mezzaluna di fronte al palco allestito per l'occasione.
Tra il pubblico ci sono tantissime famiglie, bambini, anziani, studenti e nativi.
Prima di dare il via alle esibizioni l'amico/presentatore del partito nazionalista fa un riassunto degli ultimi giorni di lotta; elenca le atrocità commesse dal Governo a Bagua, le violenze fisiche e ambientali di cui sono responsabili le grandi transnazionali del petrolio da quarantanni; inneggia al decentralismo e all'orgoglio del popolo della selva e dei nativi.
L'energia che sprigiona contagia la gente che risponde urlando Venceremos!
Gli artisti intanto fanno le prove dietro alla statua che sta alle spalle del palco.
Cantanti, mimi, poeti, ballerini. Giovani, anziani, donne e uomini.
Il primo gruppo ad esibirsi sono stati gli Shalom amazzonico che hanno diffuso nell'aria melodie tradizionali con chitarre tipiche simili a mandolini, flauti, tamburi e zampoñas, strumenti a fiato ricavati da bambù.
Li ha succeduti un signore di mezza età con barba e occhiali; chitarra al collo ha fatto un'introduzione calorosa testimoniando le lotte epocali dei popoli amazzonici per poi invitare la folla attenta ad accompagnare le sue parole in canto.
Gli accordi sono seguiti da una voce poderosa che intona El pueblo unido jamàs serà vencido!
L'atmosfera è quasi commovente dall'energia che unisce le persone cantanti; pensavamo che certi canti popolari fossero finiti con le morti dei Guevara e degli Allende, solo in quella piazza ci siamo resi conti di quanto tutte le lotte dei secoli passati siano ancora attuali.
Ci guardiamo intorno e osserviamo gli occhi dei presenti, raramente si vedono così brillanti e vivi. Ne siamo contagiati, gli occhi sono lucidi.
La loro lotta empaticamente la sentiamo nostra pur venedo da un altro continente, così diverso e così perso in se stesso.
Al Pueblo unido segue un'altra canzone/novella sulla terra e sul petrolio e per un istante in quell'uomo vediamo De Andrè.
La folla impazzisce quando viene attaccato con ironia il presidente Garcìa.
Intanto alle spalle sull'obelisco centrale della piazza viene issato lo striscione del Comitè de lucha indigena.
Al signore segue un mimo che fa gioire i bambini presenti.
Dopo di lui una coppia di ballerini proveniente dalla scuola d'arte di Chiclayo danza per la gente; eleganti si spostano da un lato all'altro del palco fingendo di baciarsi e facendo ridere maliziosamente il pubblico ad ogni incontro ravvicinato e platonico tra le loro labbra.
Passano un paio d'ore e il presentatore ringrazia i presenti e invita questi ultimi a fare un applauso per i 'giornalisti italiani' presenti. Ci indica.
Un po' alla sprovvista per tanta attenzione rivoltaci ci alziamo e rispondiamo imbarazzati agli applausi dei 400 facendo un inchino impercettibile e toccandoci il petto in segno di riconoscenza e rispetto.
Prende la parola Miller Lopèz del Comitè che di fronte alle telecamere annuncia, come rappresentante, l'inizio del blocco.
Ribadisce l'intento decisamente pacifico della mobilitazione, invita a non cadere nelle provocazioni della polizia e dei militari e a non compiere atti vandalici nella paralizzazione di Iquitos.
Esprime il concetto della lotta per la propria terra dichiarando invincibile l'anima della gente nativa, dicendo che le morti e gli assassinii di Stato non fanno altro che rinforzare la lotta popolare.
Vengono prese pubblicamente le difese del lìder indigeno Alberto Pizango.
La piazza lancia unita un unico grido: Alan (Garcìa) Loreto ti ripudia! La selva non si vende, la selva si difende!
Intanto si organizzano i picchetti per bloccare le strade e dopo breve parte un corteo improvvisato dietro allo striscione del Comitato di lotta.
Ad aprire il corteo, ancor prima dello striscione, c'è un uomo che ha superato i 50 con un'asta spessa di legno lungo circa quattro metri; attaccata all'asta una grande bandiera del Perù e una bandiera nera che manifesta il lutto popolare per i 200 e più tra morti e desaparecidos di Bagua e per i 24 poliziotti la cui morte è dovuta all'irresponsabilità e alla corruzione morale del governo.
Il corteo si muove spedito e si ingrossa strada facendo; la gente applaude dalle finestre, i partecipanti urlano orgogliosi e irati.
E' un grande serpentone illuminato dai ceri portati dalle persone in segno di lutto.
La manifestazione è calda, molto calda.
Arriva la polizia. Due cordoni scortano ai lati ad estrema vicinanza i manifestanti che continuano nel percorso come se non esistessero.
La polizia non è il caso che rischi perchè la presenza della stampa è massiccia e la gente presente è disposta a tutto per rivendicare la propria esistenza.
Tutto scorre tranquillamente.
La mobilitazione continua fino ad arrivare nella centralissima Plaza das Armas per poi tornare in Piazza 28 de Julio.
Qui si dà appuntamento nella stessa piazza per il giorno sucessivo alle 15.00 per la grande manifestazione in programma in favore dei nativi e con i nativi.
Molti tornano a casa verso l'una, le due di notte; alcuni altri occupano le strade giocando a calcio o cucinando pollo e banane alla griglia.
Altri si fermano a chiacchierare condividendo qualche fetta di pane e qualche focaccia.
Ci sediamo sui gradoni ai piedi della statua e conversiamo con una signora; ci racconta gli anni della dittatura di Fujimori, ci parla dei desaparecidos, dei tradimenti nella lotta popolare..dei tradimenti di coloro che alla coerenza delle idee hanno preferito la corruzione politica; ci narra della repressioni, dell'esercito che ha visto sparare sulle folle, ci parla anche di quando per salvare la vita sua e della famiglia ha puntato una pistola alla schiena di un poliziotto che era venuto per saccheggiarle la casa e per intimidirla.
Ci parla dei compagni che continuano a lottare al fianco del popolo e che hanno per questo perso il lavoro, ora dormono per strada. Ci avverte di quanto questi ultimi siano sempre i primi a metterci la faccia.
E cita quelli che una volta erano compagni ed ora sono dall'altra parte della barricata.
Ci avverte anche del rischio che questa lotta per la sopravvivenza possa essere utilizzata da terzi per i loro squallidi giochi politici: La lotta indigena non è politica.
Non trattiene le lacrime, la voce è forte e vibrante allo stesso tempo. Nonostante tutto la sua fiducia è forte come la sua combattività.
Ci contagia.
Ci salutiamo dandoci appuntamento per la mattina quasi alle porte e continuiamo camminando per la città.
Incrociamo un blocco di una decina di persone legate alla Chiesa; la signora con cui parliamo è polacca ed è in mezzo ad un incrocio in Plaza das Armas.
Le chiediamo quale sia la posizione della Chiesa riguardo al blocco.
Ci risponde che i vertici non si schierano, che le scuole cattoliche non chiudono, che i preti di Iquitos (tutti stranieri) non si interessano e al massimo si fanno da intermediari.
Lei è la prima ad accusarli, dice che in Perù è quasi tutto in mano all'Opus Dei.
E' testimone di quanto siano ignavi coloro che la precedono nella piramide, attacca il Vaticano accusandolo di conservatorismo e immobilismo e un tal cardinale spagnolo che pochi giorni prima ha dichiarato che l'aborto è peggio della pedofilia.
Ma ci parla anche di padre Mario Bartolini che a Bagua aveva aperto Radio La Voz; il Governo lo vuole espellere dal paese, lo accusa di aver istigato i nativi alla rivolta, lo accusa addirittura di terrorismo e gli chiude la radio. Lui continua nella sua battaglia al fianco degli abitanti di Bagua.
La salutiamo, andiamo a casa per ricaricare le batterie della macchina fotografica e della videocamera e dopo un'ora torniamo in piazza aspettando l'alba e la giornata di lotta.
Qui alcuni studenti che stanno bloccando un'arteria cittadina ci invitano alla Casa del Maestro per parlare con Apu Marco Polo Ramirez Arahuanaza, rappresentante della Tribù Ashuar di Andoas.
Lo incontriamo e ci presentiamo.
Lineamenti duri, pelle scura, braccia forti e capelli lunghi, lisci e neri. Non può uscire dalla casa del Maestro perchè come rappresentante indigeno ha sulla sua testa un mandato d'arresto. Nonostante questo ci conferma la sua presenza alla manifestazione insieme a nativi Boras, Cocamas, Yahuas, Aguajun, Shawis e Ticunas.
E' sotto processo per i fatti di Andoas: Una comunità di 800 persone, vittime da quarantanni dei soprusi di Pluspetrol (corporation argentina), costrette a pescare e cacciare in territorio equadoregno, dopo avere visto le proprie acque contaminate dall'oro nero e i propri animali morire avvelenati, hanno deciso nel Maggio del 2008 di ribellarsi.
Hanno bloccato l'afflusso del greggio sabotando i gasdotti e occupato l'aereoporto; ne sono seguiti scontri con la polizia che, come a Bagua, non ha esitato ad aprire il fuoco.
Negli scontri è morto un poliziotto.
Marco Polo, come John e Josè Fachin, è accusato d'omicidio pur essendo stato fermato e detenuto (negli uffici di Pluspetrol) 24 ore prima dell'accaduto; rischia 23 anni di carcere ed è iniziato il processo giusto in questi giorni.
La comunità di Andoas, al confine con l'Equador, è stata la prima a ribellarsi ed è stata da esempio per le grandi lotte unitarie di cui sono protagonisti oggi i nativi della selva e delle Ande.
Per questo per loro sono previste pene esemplari. Intanto gli hanno bloccato ogni sorta di finanziamento proveniente dalle organizzazioni native e non.
Chiacchieriamo con Marco Polo e Josè Fachin per un'ora; facciamo la colazione comunitaria a base di te bollente con latte, anice e pane secco nella Casa del Maestro.
Nel frattempo arrivano molte persone e ci si organizza per continuare i blocchi e per fare un piccolo corteo per continuare nella sensibilizzazione.
Miller Lopèz del Comitè apre la piccola marcia.
Sono una trentina di persone, come più o meno ad ogni blocco.
Ci si apposta ad un incrocio per fermare i pochi mototaxi che stanno facendo i krumiri; in men che non si dica arriva un pick-up della polizia.
Si cambia incrocio e si gioca al gatto col topo. Lenti ma non fermi si passa da incrocio ad incrocio.
Passa così la mattinata che nonostante tutto scorre tranquilla; il traffico insostenibile, a cui ormai ci siamo abituati, oggi ha una pausa.
La grandissima maggioranza delle attività commerciali è restata chiusa per solidarietà e moltissimi mototaxi quest'oggi non sono in servizio.
Non c'è quasi bisogno dei blocchi perchè la solidarietà dei cittadini sembra essere totale.
Non ce l'aspettavamo.
Alle 15.00 ci concentriamo in Plaza 28 de Julio; alla spicciolata si riempie fino a partorire persone anche sulle strade laterali.
Decine di striscioni e di cartelli con frasi emblematiche, molti nativi, migliaia di persone e anche molti poliziotti. Nell'andare in piazza ci imbattiamo anche con un plotone dell'esercito che marcia rigidamente.
Si aspetta che l'affluire continuo di gente abbia fine per cominciare il corteo aperto sempre dal Comitè.
Alle 16 si parte.
Ai lati, alla testa e alle spalle è dispiegata la polizia in assetto antisommossa.
Ci si imbocca per Avenida Prospero e al primo incrocio ci fermiamo per misurare la lunghezza del serpentone umano. Bisogna attendere più di dieci minuti perchè finisca.
Dopo aver percorso le principali vie della città e il mercato di Belem torniamo in piazza.
Qui prendono parola tutti i rappresentanti indigeni che prima si rivolgono alla folla in Quechua e altre lingue per poi farlo in castigliano (non tutti).
Si chiede rispetto per la propria cultura e la propria terra, si chiede giustizia e dignità, si chiede l'abrogazione di tutti i decreti sulla selva (non solo del decreto 1090 e 1064) e si annuncia un blocco generale in tutto il Perù per il 7, l'8 e il 9 Luglio.
Ascoltare i nativi è toccante, ascoltare la loro rabbia degna è una scossa di vita.






.Domenica 21 Giugno 2009.


mercoledì 10 giugno 2009

Per la pace e la dignità Amazzonica.




.Iquitos.

Qui a Iquitos, capoluogo della regione amazzonica di Loreto (la più estesa del Perù),
dopo la mattanza del 5 Giugno a Bagua, il Comitato della lotta indigena ha indetto un' assemblea in data 6 Giugno presso la Casa España alla quale hanno partecipato delegati e rappresentanti della popolazione iquiteña, tra questi; sindacati, partiti politici, ong, organizzazioni universitarie, intellettuali, giornalisti (pochissimi) e gente comune.
Tra i presenti la commozione e il desiderio di reagire e di ottenere giustizia era ed è fortissimo.
Al tavolo, come relatori, erano seduti Miller Lopez Santillane e Maritsa Ramires in rappresentanza del Comitato de lucha indigena.
Tema della riunione è stato pianificare un blocco generale nella città per l'11 Giugno.
Dopo un' iniziale introduzione da parte di Miller e Maritsa si è data la parola alla platea che ha interagito esprimendo il proprio sdegno e la propria degna rabbia.
Si è conclusa l'assemblea votando per alzata di mano se paralizzare la città per 24 o 48 ore; l'opzione scelta è stata la prima.
Comunemente si è deciso di indire un'assemblea popolare per l'8 Giugno alle 19.00 presso la casa del maestro, sede del Sindacato unitario dei lavoratori nel settore educativo del Perù (SUTEP), presieduta dal Frente Patriotico de Loreto (FPL).
La partecipazione è stata massiccia e si è registrato un afflusso di centinaia di persone.
Qui sono state affrontate le modalità di lotta e mobilitazione.
La grande maggioranza si è schierata a favore di un blocco concreto della città realizzabile tramite non solo l'assenteismo dal lavoro ma soprattutto dall' azione diretta nelle strade per mezzo di picchetti, iniziative culturali e paralisi delle arterie cittadine.
La decisione è stata proclamare l'11 Giugno come giornata di lutto indigeno; la popolazione è stata invitata ad esporre bandiere nere fuori dalle finestre e dai balconi durante il Paro general.
La paura di possibili repressioni è diffusa tra la gente ma questo non fa che rinforzare la loro determinazione e il loro spirito.
All'assemblea del Frente, iniziata con un toccante minuto di silenzio, erano seduti al tavolo oltre che ai portavoce del Comitato di lotta indigena anche un rappresentante nativo della Comunità Yahua del Marañon, uno del Pueblo Achual ed una ragazza di un pueblo della zona di Bagua.
Quest'ultima ha parlato di ciò che sta accadendo ai suoi figli, alla gente della sua comunità e delle comunità limitrofe; l'esercito rastrella casa per casa, circa duecento persone (il numero è incalcolabile) sono scomparse, dopo giorni corpi avvolti in sacchi neri emergono dalle acque scure del rio Huallaga.
Sono stati criticati molti partiti politici accusati di aver inizialmente strumentalizzato la situazione qualunquisticamente per poi aver lasciato cadere nel nulla proposte concrete di attivismo.
E' stato criticato il Governo regionale di Ivan Vasquéz e il suo partito, Força Loretana, per aver aderito allo sciopero generale ma non al blocco, rischiando di isolare così i manifestanti di fronte a possibili repressioni.
Si accusa la stampa nazionale di star facendo disinformazione concentrando le notizie esclusivamente sui poliziotti caduti durante gli scontri.
Il primo ministro Yehude Simon si assume la responsabilità delle morti dei poliziotti e ha indetto un giorno di lutto nazionale (esclusivamente in memoria dei militari) ma non si dimette insieme al presidente Garcìa.
Intanto al pozzo petrolifero n°6 l'estrazione del greggio è stata fermata finché non si raggiungerà una soluzione al conflitto.
Il 60% del petrolio nazionale proviene dalla regione di Loreto.
Il Governo continua con le provocazioni disponendo forti contingenti di militari nella selva soprattutto a Yurimaguas ( dove al tensione è alle stelle e le comunità hanno bloccato la strada per Tarapoto permettendo la circolazione,tramite corridoi, solo poche ore a settimana) e sul delta del Marañon.
A Lima l' Aidesep e altre organizzazioni si stanno organizzando per lanciare dopo l'11 Giugno una giornata di sciopero generale nazionale.
Per la giornata di domani i dipartimenti di Loreto, Cusco, Tarapoto, Arequipa e San Martìn (che annunciano un blocco a tempo indeterminato fino alle dimissioni del Governo), Madre de Dios (per 48 ore),Yurimaguas e Ucayali aderiscono alla giornata di blocchi:
Praticamente tutti i dipartimenti dell'Amazzonia peruviana.
Alla lotta di Iquitos saranno presenti le comunità native circostanti dei Boras, Yahuas, Cocamas, Aguajun, Shawis e Ticunas.
Il presidente dell'Aidesep, David Pizango, ha un mandato di cattura emesso non dal Potere Giudiziale bensì dall'Esecutivo.
E' un mandato di cattura politico.
Le accuse a lui rivolte non hanno riscontri giudiziali.
Pizango è rifugiato a Lima nell' ambasciata del Nicaragua.
Questa mattina e mentre scriviamo è in atto una vasta operazione di informazione e di volantinaggio per garantire una massiccia partecipazione dal basso.
Luoghi della promulgazione sono i mercati, scuole e l'Università, le piazze, il terminal dei mototaxi (54000 in tutta Iquitos) e i centri popolari.
Per molte persone non lavorare un'intera giornata per aderire allo sciopero in solidarietà alle vittime native del genocidio può voler dire non mangiare; nonostante questo l'appoggio fino ad ora appare incondizionato.
Se la gente domani bloccherà la città concretamente con i propri corpi, affrontando il fantasma della repressione, le comunità native avranno un segnale forte:
La loro lotta è quella del popolo peruviano.
Stasera in Piazza 28 Julio alle 22.00 si terrà una fiaccolata per lanciare le 24 ore di lotta.
Domani alle 15.00 sempre da Piazza 28 Julio avrà inizio la mobilitazione che ingrosserà i blocchi che cominceranno ad essere effettuati già dopo la mezzanotte di oggi.


!Defendemos la Amazonia, patrìmonio nacìonal y de los pueblos amazonicos!





.Mercoledì 10 Giugno 2009.

lunedì 8 giugno 2009

Quando un indigeno muore non muore mai.

.Iquitos.


Dal 27 al 31 Maggio nella città di Puno, sul lago Titicaca, ha avuto luogo la IV Cumbre continentale dei popoli e delle nazioni indigene.
Hanno partecipato anche delegazioni di popoli africani e asiatici.
Le delegazioni di 126 etnie del mondo hanno marciato per le strade della città al confine con la Bolivia.
Le posizioni espresse sono state estremamente dure nei confronti del trattato di libero commercio siglato tra Alan Garcìa e gli Stati Uniti.
Lo si accusa di star vendendo l'Amazzonia alle grandi corporazioni straniere del petrolio e delle miniere.
Si condanna il presidente peruviano Garcìa per aver concesso l'asilo a tre ex funzionari del vecchio governo boliviano di Gonzalo Sanchez de Lozada accusati di genocidio.
La V Cumbre continentale sarà nel 2011 nella Bolivia di Morales, unico capo di stato acclamato.
Da questa riunione di Puno è uscita la Dichiarazione del lago che sollecita la fine dell'embargo statunitense su Cuba e il ritiro di Israele dai territori occupati.
Sollecita inoltre la formazione di un Tribunale di giustizia climatica ed una Assemblea in difesa della Madre Terra alternativa e parallela a quella sul cambio climatico che avrà luogo a Copenaghen in dicembre.
Intanto nel dipartimento di Cuzco, nella zona di Camisea, 50 nativi della Comunità Machiguenga hanno scavato grosse buche rendendo inutilizzabili i condotti gasoliferi della regione bloccando il sistema di trasporto di gas verso la costa e manipolando due valvole che regolano l'afflusso di combustibile.
Da Puno annunciano che la prima settimana di Giugno sarà una settimana di lotta internazionale in solidarietà ai nativi vittime del Governo Aprista di Garcìa e del primo ministro Yehude Simon.

Tarapoto, Cusco, Ayacucho, Yarimaguas e Bagua sono da giorni centri della lotta in espansione.
La lotta dei nativi, soprattutto Awajùn-Wampis, è iniziata 50 giorni fa in maniera pacifica e organizzata.
Il Governo aveva annunciato tregue e trattative che ha poi negato nei fatti.
I nativi si mobilitano controllando la loro terra sacra e bloccando i fiumi, il rio Huallaga e il rio Napo soprattutto.
La politica risponde mandando la marina, decretando lo stato d'emergenza e inviando militari e poliziotti d'assalto.
Il Perù è diviso in zona costiera, zona andina e selva.
Queste due ultime pur essendo piene di risorse sono le più povere.
Il Governo si chiude nei palazzi sontuosi pensando solo alla città e succhiando il sangue al resto del paese.
Decide così di seguire la politica neocolonialista e liberale degli Usa e di vendere,privatizzandolo, il polmone verde di tutto il mondo.
Lo vende alle grandi imprese petrolifere; alla Plus, alla Perenco, alla Talisman e ad altre.
Il 4 Giugno a Bagua,vicino al rio Huallaga, è avvenuto qualcosa di estremamente tragico, degno del peggiore colonialismo.
Le comunità native di Bagua chica e Bagua grande hanno bloccato durante una manifestazione la soprannominata 'Curva del Diablo' che porta all'oleodotto della stazione petrolifera n° 6 di Petroperù.
L'esercito e la polizia hanno risposto con una violenza inaudita.
I nativi non sono stati a guardare e la violenza è stata tremenda, la lotta si è tramutata in guerra.
Le fonti ufficiali, le fonti di Governo che sono quelle che danno le veline ai media internazionali parlano di 30 morti peruviani (22 nativi e 8 poliziotti). All'inizio la televisione parlava di tre nativi uccisi!
Negli scontri sono state sequestrate armi alla polizia.
I nativi, che inizialmente opponevano frecce e lance ai fucili e ai gas lacrimogeni (lanciati da 4 elicotteri che sorvolavano l'area) hanno così risposto al piombo col piombo per difendersi.
Si parla di 22 nativi ammazzati ma la realtà è offuscata ed è un'altra.
Il 5 giugno il Comitato della lotta indigena ha annunciato che i morti sono 34 e che i desaparecidos sono più di 150. Si accusa la polizia di stare occultando i cadaveri bruciandoli e gettandoli nel rio.
I poliziotti uccisi sono 24, dei quali si dice siano stati 10 giustiziati dai nativi dopo essere stati fatti prigionieri alla stazione petrolifera n°6 che rifornisce l'oriente del paese.
In verità le dinamiche non sono ben chiare perchè le teste di cuoio hanno fatto un blitz nel quale hanno subito perdite.
I militari giustiziati (10 sottufficiali) potrebbero essere morti nel tentativo di liberazione e non prima come riportano a tutta pagina i quotidiani nazionali e i media.
Nel Dipartimento di Amazonas il governo ha promulgato il coprifuoco a partire dalle 18.00.
La polizia setaccia la zona di Bagua casa per casa detenendo giovani, donne e anziani.
Il legittimo presidente dell'Audisep ha sulla testa un mandato di cattura emesso dal presidente del Potere Giudiziale Javier Villa Stein e vive adesso nella clandestinità.
Il suo nome è David Pizango. 1200 poliziotti sono intorno alla località di Puno per catturarlo.
Fonti governative ipotizzano infatti una sua fuga in Bolivia.
I dirigenti regionali dell'Audisep sono sotto mandato di arresto e da settimane subiscono minacce.
I dipartimenti di Ucuyali, Madre de Dios e di Amazonas hanno annunciato per il 10 e l'11 Giugno 48 ore di blocco generale.
A Yarimaguas la tensione è alle stelle. Anche nella regione di Loreto la mobilitazione è sempre maggiore.
Le comunità stanno formando un centro comune di lotta verso il delta del Maranon.
Il Rio Napo è bloccato dalle canoe e la marina attende a pochi chilometri l'ordine per sfondare rischiando una nuova Bagua. Sulla strada sono già quattro i camion pieni di militari pronti all'attacco via terra.
A Bagua il dirigente regionale dell'Audisep è stato uno delle prime vittime.
La parola d'ordine tra le comunità è il serrare le fila per l'unità.
Intanto gridano al genocidio. Ma il mondo è sordo.
E' la scimmia che non vede, non sente e non parla.
Per Martedì 9 giugno il Comitato di lotta indigena ha convocato per le 10 del mattino una conferenza stampa a Iquitos.
Lunedì sera alle 19 ci sarà invece un'assemblea per stabilire le modalità di lotta nella città.
Per Giovedì 11 è stato lanciato una giornata di blocco generale della città.
L'urlo che unisce il Perù popolare, da Cusco ad Ayacucho, da Lima a Tarapoto è:

Quando un indigeno muore non muore mai!

La Selva non si vende, la selva si difende!


Scontri tra polizia e manifestanti che vogliono arrivare da Bagua alla Curva del Diablo.

Video Aidesep;dichiarazioni Pizango e scontri alla curva del Diablo.

.Lunedì 8 Giugno 2009.

Verso l'Amazzonia.




.Iquitos.

Il 30 Maggio lasciamo Lima per Pucallpa,città a 800 km a nord est nella selva amazzone.
Il bus parte con due ore di ritardo.
Lungo il cammino attraversiamo le Ande raggiungendo quota 4800 metri.
Dopo un'ora di viaggio la strada già cambia e si fa in salita,lungo curve strette.
Il paesaggio circostante muta; baracche,case sparse,pozzi d'acqua e terra,terra arida e pietre.
L'aria fresca è quella andina.
La luce fuori è sempre più fioca e il tramonto sempre più prossimo. Piove.
L'autista guida come un pilota di rally;lo sterzo e il contro sterzo ad una curva stretta col terreno bagnato fa svegliare i passeggeri e fa gridare di rabbia e paura quelli che erano già svegli preoccupati dai sorpassi incredibili fatti lungo le Ande.
Qualcuno sta male ed una signora seduta dietro a noi vomita con poco self-control,
Un signore accanto consegna alla hostess un suo DVD puntualmente.
Nel filmato lo si vede suonare a bocca una piccola foglia.
Il tutto è talmente kitsch che risulta complicato descriverlo.
Proseguiamo per un ponte largo all'incirca quanto lo stesso bus e si continua con nelle orecchie lo strimpellio monotono della foglia e subendo gli svarioni causati dalla guida dell'autista che sicuramente vuole recuperare il ritardo accumulato.
A 4800 metri il soroche ( mal d'altitudine) si fa sentire causando leggeri boccheggi che passano dopo breve.
Partiti alle 15.30 da Lima alle 9.00 del giorno successivo giungiamo, dopo una notte quasi insonne, a Pucallpa. Terra rossa in Quechua.
Il clima è tropicale e il caldo asfissiante.
Prendiamo subito un mototaxi e ci facciamo portare al primo ostello.
L'aria che ci viene addosso durante il tragitto è l'unica che ci dà tregua.
La strada è trafficata quasi unicamente da moto a tre ruote che fanno da taxi.
Nell'immaginario ricorda più la Thailandia che il Perù.
L'ostello è spartano. La città piccola è attraversabile in mezzora a piedi passando dalla piazza centrale dove è in corso una parata militare della marina.
Usciamo dalla città per visitare la laguna di Yarinacocha a 20 minuti di distanza.
Qui conosciamo Hernan che per pochi soles ci accompagna con la sua barca a fare un giro per la laguna.
E' qui che avviene il nostro primo incontro con l'Amazzonia.
Decidiamo di andar via dalla città il prima possibile e di fermarci una sola notte a Terra Rossa.
Andiamo quindi al porto per vedere se ci sono battelli per Iquitos (capoluogo della regione amazzonica di Loreto) e per sapere quando partono.
C'imbattiamo in un battello che sull'insegna a poppa porta il nome Henry 8 circondato dal disegno di una tigre e di un pugile. Sopra di loro Superman.
Il Kitsch va di brutto.
Su una lavagna c'è scritto il giorno della partenza e l'ora: Lunedì 1 Giugno. Ora:17.30
Saliamo a bordo e parliamo col capitano, trattiamo il prezzo e riserviamo una camerota con un letto a castello e un bagno.
Il viaggio sarà lungo e per evitare problemi con gli zaini avere una cabina è una garanzia anche se forse non ce ne sarebbe bisogno.
Siamo al terzo ponte; sopra di noi c'è solo la cabina di pilotaggio e due stanze, una per il capitano e l'altra dove dorme un militare con due fucili.
E' più che altro un battello mercantile che porta anche passeggeri, il 95% dei quali dorme in amaca sul ponte.
Giù sotto decine di persone caricano tonnellate di cose; cibo, legna, materassi, cemento, carta igienica, tubi di plastica, frutta e un paio di grossi maiali.
Sul battello ci saranno carichi dal valore di qualche milione di dollari.
I caricatori, fradici di sudore, si piegano portando sulla schiena sacchi di cipolle da 100 chili l'uno.
Gli uomini sono scolpiti, segnati dai lavori sui battelli lungo il rio Ucuyali fino a che questo unendosi al rio Maranon forma il Rio Amazonas.
Odori contrastanti attraversano l'aria.
Compriamo due amache che montiamo fuori dalla cabina insieme alle zanzariere.
Il ponte è invaso da zanzare, cavallette e piccoli ragni rossi.
Tutti e tre i ponti in breve tempo diventano distese incredibili di amache e di famiglie.
Accanto a noi ci sono parà dell'esercito e soldati della marina che per fortuna scenderanno a metà strada ad un villaggio dove saranno di servizio.
Alcune bambine ci prendono in simpatia.
Il viaggio dovrebbe durare tre giorni e due notti ma si capisce subito la relatività del tempo; il capitano annuncia che si partirà martedì perchè ci sono da scaricare ancora quattro camion zeppi di merci.
Non resta che aspettare.
Al ponte più in basso c'è la cucina.
La colazione è servita alle 6.30, il pranzo alle 11.45 e la cena alle 17.30. I pasti sono annunciati da un campanaccio ''suonato'' dal cuoco.
A bordo stranieri non ce ne sono a parte uno che scruta l'orizzonte al ponte inferiore al nostro.
Il martedì mattina partiamo.
Strada facendo conosciamo Julio Cesar, un ragazzo di Iquitos, scultore che ci racconta miti e credenze secolari dell'Amazzonia citando anche Omero.
Conosciamo anche Robert, trentenne inglese di Manchester, ingegnere edile che lavora a Dubai; Walter, disegnatore di Iquitos, comincia la conversazione sotto il sole cocente offrendoci Rum caldo e la continua mostrandoci sue foto piccanti..un pervertito di prima categoria.
E poi c'è Juan che al quarto giorno di viaggio senza dir niente scende ad un villaggio lungo il fiume
portandosi con se' il kway che gli avevamo prestato e la torcia a dinamo (del Jenzo).
La sera prima tutti insieme siamo stati a poppa a bere birra e a scherzare fino a tardi.
Pensavamo che Juan fosse della ciurma, solo dopo parlando col capostiva, abbiamo saputo che in cambio di un passaggio gratuito stava dando una mano nel carico-scarico lungo le numerose tappe ai villaggi sul fiume.
Altro incontro è stato quello di Nelly, iquitenha di 50 anni con cinque figli, che faceva di tutto per conquistare il povero Rob su pressione del logorroico Julio Cesar.
Lungo il tragitto il paesaggio è impressionante; i margini iniziali del fiume scompaiono lasciando il posto a distese di piante e alberi fittissimi e insuperabili che sembrano mangiati dal fiume.
Ogni tanto si intravedono capanne e villaggi, canoe e pescatori provenienti dall'immensità.
I colori sono infinite sfumature di verde in contrasto col marrone scuro del rio.
Silenzio e suoni di animali e uccelli provengono dalla selva e sostituiscono finalmente il caos terribile delle città.
I famosi delfini rosa, che di rosa hanno solo la parte inferiore, saltano solitari o in coppia dalle acque scure.
Stormi di uccelli si vedono all'orizzonte; bianchi e grandissimi simili a fenicotteri e talvolta a cicogne.
Alberi secolari invadono la foresta.
Mai vista una natura così fitta e impenetrabile..
Noi siamo sporchi e appiccicosi, puzziamo. Alterniamo momenti di quiete assoluta con momenti di schizofrenia dettata anche da un po' di noia.
Il viaggio dura infatti cinque giorni e quattro notti.
Il venerdì notte arriviamo al porto di Iquitos trasportati dal rio delle Amazzoni.
Dormiamo l'ultima notte in cabina e il giorno dopo ci precipitiamo ad uno degli ostelli più comodi della città.
Iquitos è turistica e piacevole. Fondata da gesuiti, ha 33 chiese, un grande tempio massone e espone molti simboli del lineage dell'Aquila.
Non ci sono praticamente macchine ed in compenso ci sono 54000 mototaxi che invadono il capoluogo di Loreto, confinante a nord con l'Equador e a nordest con Colombia e Brasile.
E' la porta per le spedizioni nel polmone del mondo.
Il solo Perù è composto per il 62% dalla selva.

.Lunedì 8 Giugno 2009.