giovedì 23 luglio 2009

Il genocidio di Bagua. Le testimonianze e i desaparecidos.



.Bagua Grande.

Arriviamo a Bagua Grande (Distretto El Milagro-Utcubamba) il 21 Luglio.
Il pullman che ci porta fin qui da Pedro Ruiz giunge la sera al crepuscolo.
Il tasso d'umidità è altissimo e incolla i vestiti alla pelle, le strade sono trafficate dai soliti moto-taxi e la città è costruita intorno alla centrale Plaza de Armas.
La fantasia nel dare i nomi alle piazze non è eccelsa.
Ci mettiamo subito in cerca di un ostello economico e, dopo averne visitati una manciata, scegliamo il più conveniente oltre che uno dei più centrali che si trova accanto al commissariato di polizia.
Il giorno successivo, appena svegli, ci precipitiamo ad uno dei tanti posti dove fanno frullati freschi di frutta tropicale.
Ne beviamo uno a testa consistente in un litro di banana, papaya, ananas, carote e pomodori e facciamo due passi sotto il sole per il piccolo centro cercando di digerirli il più in fretta possibile.
Dopo poco ci dirigiamo verso la parrocchia in cerca del prete locale.
A mezzogiorno dà la sua disponibilità per accoglierci; ci presentiamo, ci fa sedere e ci racconta.
Siamo qui per il Baguazo gli diciamo; per raccogliere informazioni sul massacro degli Awajun, sui desaparecidos, per ascoltare le voci di chi quel fatidico 5 Giugno c'era.
Siamo a Bagua.
Questa città e i suoi dintorni il 5 Giugno sono stati teatro di una delle atrocità peggiori che siano avvenute negli ultimi anni in Perù e in Latino America.
A trenta minuti in auto da qui seguendo la strada per Jaen si trova la curva del diablo così chiamata per la sua pericolosità e per il fatto che decine di camionisti vi hanno perso la vita.
La strada è cruciale per il commercio e a vederne l'asfalto sembrerebbe piuttosto recente.
C'è una piccola curva a cui segue un rettilineo di circa 700 metri alla fine del quale segue una violenta svolta a sinistra.
Questa è la curva del diablo.
Il paesaggio sembra quello di un vecchio film western; piante grasse e cactus fanno da padroni tra le case costruite in terra che si incontrano lungo il percorso.
C'è un vento fortissimo che solleva la sabbia del terreno arido e quasi desertico, l'ossigeno al paesaggio è fornito dal rio Huallaga che accompagna la strada sulla destra distante a circa un chilometro.
Il prete, padre Castinaldo (peruviano di Bagua) racconta..
A quanto ne sa i poliziotti morti sono stati 24, 12 dei quali caduti a Bagua Grande negli scontri con i cittadini.
Parla di 8 nativi morti alla curva del diablo, di un numero imprecisato di desaparecidos e di oltre 100 feriti trasportati a Bagua e a Chiclayo.
In quest'ultima sulla costa hanno portato i più gravi.
Non era alla curva l'alba del 5 Giugno; era alla parrocchia ma presto a Bagua sono arrivate le notizie degli scontri.
La gente,non appena saputo ciò che stava accadendo si è radunata per le strade.
Anche qui in città sono arrivati i poliziotti che per disperdere la gente non hanno esitato a sparare; 6 cittadini tra cui due moto-taxisti e una giovane professoressa sono morti sul colpo.
In città e persino alla frapperia si possono vedere alcuni buchi che le pallottole hanno lasciato sui muri e sulle serrande che i negozianti hanno presto abbassato non appena sentiti gli spari.
Molte persone avevano reagito esprimendo la loro rabbia fuori dal commissariato adiacente all'Hotel Montecristo dove ora alloggiamo.
Padre Castinaldo racconta di quanti nativi nelle ore seguenti alla mattanza si siano rifugiati in città perseguitati dalla polizia.
La parrocchia cittadina per cinque giorni ha dato rifugio a 804 nativi Awahjùn, donne e uomini.
Dopo cinque giorni questi hanno fatto ritorno alle loro comunità distanti dalle 4 alle 8 ore in macchina da Bagua, direzione nord.
Hsnno fatto ritorno dopo che la diocesi è riuscita a garantire la loro sicurezza nel tragitto.
In 804 hanno fatto ritorno stipati su 13 camion.
Quel giorno alla curva del diablo gli Awahjùn erano in cinquemila.
In 5000 hanno occupato 700 metri di strada per 54 gioni; l'hanno occupata in maniera pacifica al grido di 'La Selva non se vende,la selva se defiende!' protestando contro i decreti legge di Garcìa e contro il Trattato di libero commercio siglato dal governo con gli Usa di Obama.
Tutto è proseguito pacificamente fino alle sei del mattino del 5 Giugno.
Allora le forze speciali della polizia senza alcun preavviso sono arrivate dalla collina che sovrasta a Sud la curva del diablo.
Sono arrivati armati come in guerra con la copertura di un elicottero dell'esercito e di un altro bianco della polizia.
La Fiscalia ha appena dichiarato che gli Awahjùn non avevano con sè armi da fuoco ma solo le lance che li rappresentano come popolo dalle radici ancestrali.
Gli Awahjun si dividono in 113 comunità, ciascuna rappresentata da un Apu, dislocate a nord di Bagua nella selva quasi fino al confine con l'Equador.
Gli Awahjùn sono stati tra i pochi a non essere stati conquistati dal popolo Inca.
La loro storia è millenaria come le loro tradizioni, la loro terra e la loro conoscenza di essa.
Molti di loro hanno servito l'esercito peruviano; molti di loro sono professori, ingenieri o avvocati.
Ma a Lima e nel mondo c'è chi ancora li dipinge come cannibali, selvaggi ed ignoranti solo per il fatto di vivere in armonia con la natura e di non essere globalizzati.
Parliamo con Castinaldo circa un'ora e, saliti su un piccolo furgone che va verso Jaen, ci siamo fatti lasciare alla Curva del Diablo.
Prima della curva ci sono un cumulo di case costruie in terra e lamiere ; queste case compongono il piccolo (eufemismo) villaggio di Primavera.
Al di là della curva altre case formano invece il vilaggio di Siempre Viva.
Le case di Primavera saranno in totale poco più di una decina; molte di queste sono abitate solo occasionalmente perchè fanno parte di terreni (chakra) che la gente viene a coltivare dalla città solo alcuni giorni della settimana.
Il paesaggio è affascinante e spettrale; il caldo spacca le pietre ed il vento solleva cumuli giganti di sabbia che quasi rendono invisibile il rio Huallaga sulla nostra destra.
L'atmosfera è viva di morte e noi cerchiamo contatti con i locali e ci indirizziamo verso le casette seminate ai lati della strada.
Prima saliamo il cerro,il colle, che sormonta sul lato sinisro la strada e che si distende per centinaia di metri.
Incontriamo cumuli di una specie di segatura; la terra è per molti tratti bruciata e incenerita; c'è una grossa buca con alcuni rifiuti e a tratti ci sono come bruciature con colate di, non capiamo, se plastica nera bruciata o cemento.
Proseguiamo per un altro centinaio di metri; la vista è maestosa, mulinelli di sabbia trasportata dal fortissimo vento rendono l'orizzonte quasi invisibile; il rio si sdraia al di là delle palme. Il rumore circostante è quello dei fischi dell'aria.
In cima al cerro che s'innalza sull'asfalto c'è una croce bianca postavi il 5 Luglio durante una cerimonia a cui hanno partecipato anche alcuni Awahjùn, una cerimonia in memoria dei caduti.
A lato della croce una bandiera bianca è quasi strappata dal palo a cui è issata a causa del vento.
Viene da mettersi in preghiera se si fosse religiosi; ci immaginiamo lì il 5 Giugno ma l'immaginazione non può nemmeno avvicinarsi a comprendere ciò che è stato.
Camminando tra la sabbia e schivando piccoli cactus riscendiamo lungo la strada e ci avviciniamo ad un'abitazione; ci facciamo sentire per avvisare del nostro arrivo.
I cani ci vengono incontro abbaiando e un ragazzino ci guarda curioso aspettandoci al valico di una piccola casa.
Siamo qui per 'investigare' sui desaparecidos, sul Baguazo come lo chiamano qui.
Una signora con un bambino in braccio vorrebbe parlare ma arriva un anziano mulatto dai capelli bianchi cotonati che ci si para innanzi e ci accoglie.
Il fisico nerboluto da contadino lo fa sembrare uno zio Tom di inizio secolo.
Gli facciamo qualche domanda; gli chiediamo se ha visto ammazzare qualcuno, se ha incontrato qualche cadavere, per quanto la polizia dopo il 5 Giugno ha isolato la zona..ma tutto ciò che riusciamo a farci dire è che lui al momento dell' enfrentamiento s'è chiuso in casa con la famiglia: Non ha visto niente.
Ci rivela però che la polizia ha reso inacessibile il passaggio sulla collina ,alla sinistra della strada dove c'è sta la mattanza, per due settimane.
Ce ne andiamo ringraziando la famiglia e indirizzandoci verso le case dislocate a cento metri.
Attraversiamo la strada e, appena ci avviciniamo alla baracca, veniamo accolti dai soliti cani con fare minaccioso.
Procediamo lentamente chiedendo permesso e solo dopo alcuni minuti una signora esce dalla porta e ci accoglie un po' titubante accompagnata dalla piccola figlia.
Ha le mani infarinate ma nonostante stesse cucinando ci ospita.
Le ripetiamo la solita solfa raccontandole del perchè siamo qui.
Non esita a parlare ma ci prega di non riprenderla con la piccola video camera.
All'alba del 5 Giugno era in casa con sua figlia; poco prima delle 6 sente i primi boati..inizialmente pensava fosse una sorta di festa patronale ma parlando con la sorella capisce subito dell'impossibilità della cosa visto che la strada è bloccata da 54 giorni.
In pochi istanti nel cielo vede due elicotteri che sorvolano l'area a bassa altitudine; un elicottero è militare, l'altro è bianco.
Da quello militare parte una bomba lacrimogena che colpisce il terreno al lato dei muri in terra dell'abitazione.
A questo lacrimogeno ne seguono molti altri lungo la strada e per tutto il monte.
L'aria si fa irrespirabile e lei afferra la figlia di otto anni e si rifugia alla casa della sorella distante una ventina di metri lungo il cerro.
La figlia sta male e per proteggersi si barricano in casa; intorno l'aria si fa acre e coltri di fumo rendono opaca la visibilità.
Gli spari degli Ak47 in dotazione alla polizia seguono a raffica; intorno regna il caos.
I nativi dalla strada occupata salgono verso i poliziotti; molti altri fanno il tragitto inverso e qualcuno di loro cade colpito dai francotiratori appostati sugli elicotteri dai quali sono lanciati i lacrimogeni in direzione delle case circostanti.
Scopriamo che sua sorella è la signora col bebè in braccio che abbiamo incontrato pochi minuti prima nella casa a valle; quella nella quale abbiamo parlato con lo zio Tom.
Ci dice che quest'ultimo non vuole parlare e che nutre simpatie per Garcìa e antipatie per i nativi.
Ci dice anche che la sorella ha visto un ragazzino Awahjùn di 16 anni essere ammazzato a sangue freddo mentre dormiva a lato della casa.
Ci racconta che molta gente ha paura a parlare.
Narra che per un mese i poliziotti hanno occupato il monte, il cerro, non facendo entrare nessun civile.
Racconta di come le forze dell'ordine (che per motto hanno Dio, Patria e Ordine) abbiano rastrellato casa per casa dopo le due ore di scontri cercando i nativi fuggitivi.
Racconta di quanto il tutto sia stato atroce e di come lei abbia raccontato ciò che ha vissuto testimoniandolo ad una radio locale.
Ci indica una casa più a valle un po' più distante dalla curva del diablo.
Ci consiglia di andare là per parlare con gli abitanti che hanno a disposizione un'arco di visibilità maggiore del cerro.
La ringraziamo, salutiamo la figlia e andiamo dove ci ha indicato.
Qui troviamo due case adiacenti, anch'esse in terra; fuori un cortile con un mototaxi parcheggiato e dei bambini che giocano aprofittando delle vacanze estive prolungate a causa della febbre suina.
Ci attende una signora che afferma di non essere stata presente il 5 Giugno; era a Jaen a lavorare.
Ci dice però di avere pazienza e di aspettare un po' che entro breve dovrebbe tornare dai campi suo cognato che sarebbe ben disposto a parlare.
Nel frattempo ci parla quasi commossa del popolo Awahjun non capacitandosi della brutalità della polizia e del governo.
Ci racconta che per un mese il colle è stato inacessibile e che il 5 Luglio, giorno nel quale c'è stata la cerimonia per i caduti durante la quale è stata issata la croce, alcuni presenti si sono inoltrati per i terreni trovando ossa grandi circa come una tibia umana.
Sono stati consegnati alla medicina fiscale di Bagua della quale non si fida molto data la vicinanza di questa al governo.
Aspettiamo un po' finchè non arriva il signor Reyes, uomo che ha superato i settantanni e che lavora come contadino per poter vivere.
Accompagnato dalla moglie che ci segue appoggiata al muro parla a ruota libera:
Ha servito l'esercito durante la guerra con l'Equador e vive qui a Primavera da più di ventanni.
Durante il blocco durato 54 giorni lui e sua moglie hanno dato a disposizione metà della loro casa a trenta donne Awahjùn perchè avessero un tetto sotto il quale dormire.
Dice di aver visto l'elicottero bianco abbassarsi sul luogo degli scontri per due volte per circa mezzora pe poi ripartire in direzione orientale.
Secondo lui stavano raccogliendo i cadaveri dei nativi per gettarli non si sa dove.
Ha visto la terra bruciare su quel colle per settimane con la polizia che vietava l'ingresso ai civili e che minacciava di ammazzare chi entrasse.
Lui stesso racconta di essere stato minacciato quando il 6 Giugno ha cercato di ispezionare il colle.
Questo è stato controllato per trenta giorni filati;la polizia ha rastrellato ogni metro quadrato di terra facendo sparire ogni traccia del massacro.
Dice che per ciò che è accaduto i morti potrebbero essere centinaia e non venti come dicono le fonti ufficiali.
Dice che la gente del posto non parla ma che tra loro compaesani parlano eccome; c'è chi racconta di aver visto sparare in bocca a ragazzi di ventanni tra le sterpaglie.
Ê un anziano magro e scolpito dal lavoro della terra, sembra quasi una tartaruga e ciò che che più lo scuote è il fatto che abbiano bruciato i corpi non degnandoli nemmeno di una sepoltura.
E lui il fuoco sul colle dice di averlo visto per giorni dopo quel 5 Giugno del 2009.
Dice che i 5000 nativi accampatisi lungo la strada per quasi due mesi hanno sofferto con una dignità e una forza d'animo indescrivibile il caldo e il vento dormendo per terra e sull'asfalto.
Dice che hanno tutte le ragioni del mondo; il governo non può derubarli, non può sfrattarli, non può ucciderli.
I poliziotti caduti sono morti colpiti dalle loro stesse armi sottratte loro dai nativi.
Mentre lavorava al campo qualche ora prima si è imbattuto in cinque guardie che cercavano il maggiore desaparecido da quel 5 Giugno.
Lui ha detto loro di non cercarlo nei suoi campi ma di chiedere al pilota di quell'elicottero bianco dove sia perchè solo lui può saperlo. Ha detto così persino al padre del maggiore che s'è recato a Primavera per cercare il figlio disperso, padre a sua volta di due figli.

Voci qui a Bagua raccontano che i nativi abbiano ammazzato il maggiore negli scontri per poi denudarlo dell'uniforme e dipingerlo in viso come un Awahjun.
La polizia scambiandolo per un nemico selvaggio l'avrebbe messo insieme agli altri cadaveri e l'avrebbe fatto scomparire.
Solo i piloti possono sapere dov'è.
Viene buio, salutiamo il signor Reyes e famiglia e scendiamo alla curva del diablo.
Chiediamo un passaggio; un pulmino ci carica e ci riporta a Bagua.
Oggi 23 Luglio siamo andati a Bagua Chica o meglio a Bagua capital.
Qui mentre mangiamo ad un ristorante conosciamo una ragazza che lavora commerciando una pianta medicinale curatrice del cancro chiamata unghia di gatto.
Ci dice che il 5/6 sono morti cinque cittadini negli scontri avvenuti con la polizia (stessa dinamica deli scontri di Bagua grande); uno di questi è un alunno minorenne.
Le parliamo del perchè siamo qui a Bagua e ci consiglia di attraversare la strada per recarci all'Hostal Katty solitamente frequentato da gente Awahjun.
Ci andiamo, saliamo al secondo piano.
In televisione c'è la partita di pallavolo femminile Perù-Venezuela e il Perù sta dominando il terzo set.
Conosciamo un signore Awahjun che il 5 Giugno (e pure i 54 giorni precedenti) era alla Curva del Diablo; gli chiediamo se possiamo filmarlo per raccogliere una testimonianza ma risponde di aspettare..
Deve chiamare l'Apu della sua comunità per avere il permesso.
Torna dopo un quarto d'ora invitandoci per domani (24 Luglio) a Yamayakat-Imacita, comunità Awahjun dove si incontreranno gli Apu di tutte 113 le comunità native.
Decideranno come continuare la lotta di fronte all'intransigenza assolutista del governo Garcìa che sta cercando di costruire un Aidisep parallela, comprata, con cui negoziare (tipo gli ebrei che nella seconda guerra mondiale trattavano coi nazisti i loro commerci, vedi Rotschild tuttora a capo della finanza mondiale).
Ma soprattutto cercheranno di fare un censimento generale dei desaparecidos.
C'è chi parla di 120, chi di 200 e chi di un numero maggiore ancora.
Il 5 Giugno 5000 nativi erano in quella curva; molti non hanno mai fatto ritorno a casa e sembrano volatilizzati.
Noi questa notte alle tre andremo a Yamayakat-Imacita in cerca di Verità,
aspettando Giustizia, non miracoli!

.Giovedì 23 Luglio 2009.

3 commenti:

  1. hola :)

    es muy notable el genocidio que hubo en el baguaso y el responsable es el gobierno del presidente Alan Garcia... espero que algún día la histotia y los pweruanos hagamos justicia!!!!! bueno con sus informes...!ánimo no desmayen!

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  2. Complimenti ragazzi...
    le vostre parole vibrano di forza,non solo per ciò che scrivete.
    state all'ocio..
    un saluto dall' "europeo" e gauchoso Uruguay..

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  3. Stiamo aspettando un aggiornamento del blog!
    Anna

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